Sono nata a Londra, il 25 luglio del 1829 e la mia famiglia non era ricca né tantomeno nobile.
Mio padre Charles produceva posate e aveva un piccolo negozio nel centro di Londra.
Fin da bambina ho amato la poesia, dopo aver scoperto Tennyson, fonte d’ispirazione dei miei versi.
Io e le mie sorelle più piccole lavoravamo come modiste in una sartoria di Cranbourne Alley e fu lì che un giorno incontrai il padre del pittore Walter Deverell e avendolo riconosciuto, gli mostrai con entusiasmo i miei disegni, sperando che li trovasse interessanti, ma lui non li guardò neppure.
Tuttavia, rimase colpito dall’ovale del mio viso e dalla folta chioma dei miei capelli rossi, così mi propose di posare come modella per suo figlio.
Qualche giorno dopo, mi recai nell’atelier di Walter Deverell che mi fece posare immediatamente per il volto di Viola nel quadro La Dodicesima Notte.
Fu lui a presentarmi agli altri membri della Confraternita dei Preraffaelliti: William Hunt, John Everett Millais, Ford Madox Brown e naturalmente Dante Gabriel Rossetti, il fondatore della Confraternita.
Ricordo che mentre posavo per Deverell, quel Dante non mi toglieva gli occhi di dosso, ma io ero troppo timida per reggere quello sguardo e così fingevo di non vederlo.
Ogni volta che dovevo andare allo studio per posare, mi sentivo crescere un nodo in gola man mano che mi avvicinavo. Pregavo affinché quell’insolente di Dante non fosse presente, ma se poi non lo avessi trovato, mi sarei sentita smarrita, ansiosa e agitata, mentre Deverell continuava ad imprecare perché rimanessi immobile.
Aveva la capacità di guardarmi come se fosse colpa mia ed io lo detestavo perché non era possibile che con uno
sguardo potesse dominarmi in quel modo, rendendomi una donna assolutamente vulnerabile e fragile.
In breve tempo cominciai a posare anche per gli altri pittori della Confraternita.
Nel ’52, John Millais mi fece immergere vestita in una vasca da bagno per dipingere fedelmente la sua Ophelia annegata. Era inverno e nonostante avesse messo dei lumi ad olio sotto la vasca per riscaldare l’acqua, c’era un freddo terribile.
Mi lasciava a bagno intere giornate, ricoperta di fiori il cui odore nauseabondo mi dava alla testa.
Una volta accadde che i lumi si spensero e in un attimo l’acqua divenne freddissima.
Lui, completamente assorto dal suo dipinto, non se ne accorse neppure ed io, troppo timida per ribellarmi, scioccamente non dissi neppure una parola, né emisi un lamento: mi trovarono immersa nell’acqua, priva di sensi per il freddo.
Fui riportata in fin di vita a casa di mio padre che infuriato, chiese a Millais un risarcimento di 50 sterline oltre
al pagamento di tutte le spese mediche, minacciandolo di agire legalmente se si fosse rifiutato, ma un principio di polmonite aveva già compromesso la mia salute.
Quando mi ripresi, divenni la modella esclusiva di Rossetti che non solo allontanò tutte le altre modelle, ma non permise a nessun altro pittore di farmi posare per i loro quadri.
Ero diventata la sua unica modella.
Credo di aver posato per un migliaio di quadri e disegni del celebre Dante Gabriel Rossetti.
A partire dal ’52, cominciai a studiare pittura con lui, imparando i rudimenti del mestiere tanto che in seguito lo stesso John Ruskin, l’autorevole critico d’arte e sostenitore della confraternita, affermò che l’allieva aveva superato il maestro nella composizione, nell’originalità e nell’intensità dei lavori.
Ruskin divenne il mio mecenate, acquistando tutto ciò che io disegnavo o dipingevo contro il pagamento di 150 sterline l’anno.
Fu sempre lui a convincere Dante ad accettare il denaro necessario per farmi curare e fu nello stesso periodo che cominciai a dedicarmi alla poesia, il mio primo amore.
Nel 1857 esposi per la prima volta al salone preraffaellita alcuni dei miei disegni ed un autoritratto ad olio, riscuotendo un discreto successo, ma durante le mie frequenti assenze, spesso fuori Londra per curarmi, Dante si era avvalso di altre modelle con cui, non di rado, intrecciava delle relazioni, come Annie Miller, modella di William Hunt.
Fu un periodo terribile per me perché non avevo la forza fisica né mentale di reagire, soprattutto quando a questi
continui tradimenti si aggiunse, nel 1859, la perdita di mio padre.
Fu così che cominciai ad usare il laudano per placare la mia depressione e per calmare i dolori della tubercolosi, ma presto non riuscii più a farne a meno.
Il 23 maggio del 1860, nonostante il parere contrario della sua famiglia, io e Dante ci sposammo ad Hastings, ma quel giorno ero talmente debole e provata che dovettero portarmi in braccio sino in chiesa, sebbene si trovasse solo a pochi minuti di distanza dal luogo dove mi trovavo.
Al nostro matrimonio non c’erano né parenti né amici, ma solo una coppia di testimoni incontrati vicino la chiesa cui chiedemmo di presenziare alla cerimonia.
Un anno dopo rimasi incinta, ma la bambina nacque morta, lasciandomi una terribile depressione post partum.
Un mese dopo, invece, Jane Morris partorì una bambina: Jane era la moglie di William Morris, altro importante pittore della confraternita, ma era anche la modella e l’amante di Dante, sia prima che dopo il nostro matrimonio.
Una sera, dopo aver cenato insieme a mio marito e al pittore Charles Swimburne, fui trovata priva di sensi in preda ad un’overdose di laudano.
Dante mi portò a casa, ma poi andò ad insegnare, come di consueto, al Working Men’s College, come se nulla fosse, lasciandomi da sola.
Ritornato a casa, mi trovò peggio di come mi aveva lasciata e non fu in grado di rianimarmi.
Chiamò diversi medici, ma nessuno di loro poté più fare nulla.
Sono morta l’undici febbraio del 1862 nella nostra casa di Chatham Place.
Il medico legale dichiarò che la mia morte fu accidentale, ma pare che Dante abbia trovato un mio biglietto appuntato sulla camicia da notte in cui lo pregavo di prendersi cura di Harry, il mio fratellino disabile.
Consumato dal dolore e dal senso di colpa, si precipitò dal suo amico e collega Ford Madox Brown, il quale gli ordinò di
bruciare quel biglietto, visto che il suicidio era considerato non solo illegale, ma anche immorale e ciò avrebbe sicuramente portato scandalo alla famiglia, impedendomi una sepoltura cristiana.
Solo così poterono seppellirmi al cimitero di Highgate, nella tomba di famiglia.
Dante era preso dallo sconforto e in un impeto di disperazione decise di seppellire insieme al mio corpo anche l’unico manoscritto di un ciclo di poesie scritte appositamente per me, ponendolo vicino al mio capo, ma sette anni più tardi, gravato dalla povertà e dai debiti, convinse le autorità a dissotterrare la mia bara per recuperare quel manoscritto e pubblicare le poesie.
Così, in una fredda una notte del 1869 nel cimitero di Highgate, Dante e il suo agente letterario aprirono la mia tomba.
I presenti all’apertura del sepolcro raccontarono in seguito che il mio corpo e il mio viso erano rimasti intatti e che i miei splendidi capelli rossi erano cresciuti sino a riempire completamente la bara.
L’anno seguente, Dante riuscì a pubblicare le poesie del manoscritto recuperato nella raccolta Poems e nel 1872, forse per emularmi, tentò il suicidio assumendo un’elevata dose di laudano, ma alcuni amici lo salvarono; morì invece nel 1882 in completa solitudine, povero e folle
Rosario Cosenza
il racconto “Elizabeth Siddal” tratto da “Mogli, amanti e muse: le donne degli artisti si raccontano”, pubblicato da EBS.
I commenti sono chiusi