Thomas Stearns Eliot: artista metafisico e fabbro della parola.
I primi anni
È il celebre scrittore siciliano Giuseppe Tomasi di Lampedusa ad averci lasciato uno dei ritratti più vividi di Thomas Stearns Eliot.
Nelle sua originale opera postuma Letteratura inglese il Tomasi, cui dedica ben trentatré pagine alla poesia e al teatro di Eliot, scrive: «Potrebbe sembrare che Eliot sia giunto al massimo del suo talento e della sua reputazione; il suo nome è popolare anche fra coloro che non lo hanno letto, ha ricevuto il premio Nobel, le sue opere hanno financo varcato la soglia della libreria Flaccovio di Palermo, il che mi fa pensare alla gioia della povera Ninon de Lenclos quando vedeva gli spazzacamini voltarsi al suo passaggio.
Eppure Eliot è un autore la cui lettura rivela uno sforzo continuo, uno sforzo sempre progredente verso una forma
compiuta.
A sessantacinque anni – il Tomasi scrive nel 1953 – dà l’idea di uno scrittore in formazione.
Se egli riuscirà a produrre il suo capolavoro questo potrà essere davvero notevole. Molto notevole. Eliot non è affatto il “poeta ebbro di sole” che canta al vento le sue canzoni spensierate; è un artista metafisico, che riesce a bruciare la propria filosofia mentre scrive, ma che dopo, con mente lucida e prosa stringata, ne estrae lui stesso il succo di pensiero. In questo, e in parecchie altre cose, vicino a Leopardi»
Thomas Stearns Eliot nacque il 26 settembre 1888 a St. Louis, Missouri (Stati Uniti), discendente da una distinta famiglia del New England, che gli permise la più ampia e accurata educazione culturale disponibile nel suo tempo. Dalla Smith Academy di St. Louis andò a Milton, nel Massachusetts; da Milton entrò ad Harvard nel 1906, ove ricevette il B.A. nel 1909, dopo soli tre anni invece dei soliti quattro. Ad Harvard subì l’influenza del filosofo-poeta George Santayana e del critico Irving Babbitt. Dal Babbitt derivò un atteggiamento antiromantico che, amplificato dalla successiva lettura dei filosofi britannici F. H. Bradley e T.E. Hulme, durò per tutta la vita.
Nell’anno accademico 1909-10 fu assistente in filosofia ad Harvard.
Nel 1910-11 si trasferì a Parigi, ove frequentò le lezioni di filosofia di Henri Bergson alla Sorbona e conobbe il circolo letterario guidato dal poeta Alain-Fournier.
Lo studio assiduo della poesia di Dante, degli scrittori inglesi John Webster e John Donne, nonché dell’opera
del simbolista francese Jules Laforgue, furono determinanti nella formazione del suo stile.
Tra il 1911 e il 1914 tornò ad Harvard, ove insegnò filosofia e studiò il sanscrito.
Nel 1913 tenne un appassionante ciclo di lezioni su Appearance and Reality di Bradley.
Nel 1916 completò, in Europa, la sua tesi dottorale dal titolo Conoscenza ed esperienza nella filosofia di F. H. Bradley. Ma intanto era scoppiata la Prima guerra mondiale, ed Thomas Eliot non fece più ritorno ad Harvard per sostenere l’esame orale finale per il conferimento del dottorato.
Nel 1914 iniziò la sua stretta e proficua frequentazione del poeta americano Ezra Pound.
1. G. TOMASI DI LAMPEDUSA, Letteratura inglese, in Opere, Mondadori, Milano 2011, pp. 1362-1364.
Thomas Eliot: Le prime pubblicazioni
Eliot perseguì sempre, nel corso della sua vita, quattro carriere: fu editore, drammaturgo, critico letterario e poeta filosofico. Fu probabilmente il poeta più erudito del suo tempo in lingua inglese.
I suoi poemetti universitari erano caratterizzati da un’eccessiva convenzionalità letteraria, mentre la sua prima pubblicazione importante, e primo capolavoro del modernismo in lingua inglese, fu The Love Song of J. Alfred
Prufrock (1915).
Sebbene Pound avesse stampato privatamente un piccolo libro, A lume spento, già nel 1908, Prufrock fu la prima poesia rivoluzionaria ad andare oltre l’esperimento per raggiungere la perfezione.
Rappresentò una rottura radicale con l’immediato passato di Samuel Taylor Coleridge e William Wordsworth delle Lyrical Ballads (1798).
Dalla pubblicazione del primo volume di Eliot, Prufrock and Other Observations, nel 1917, si può comodamente datare la maturità della rivoluzione poetica del XX secolo. Il significato della rivoluzione è ancora controverso, ma la
sorprendente somiglianza con la rivoluzione romantica di Coleridge e Wordsworth è ovvia: Eliot e Pound, come le loro controparti del XVIII secolo, iniziarono a riformare la dizione poetica.
Mentre Wordsworth pensava di tornare al “vero linguaggio degli uomini”, Eliot si sforzò di creare nuovi ritmi di versi basati sui ritmi del discorso contemporaneo.
Cercava una dizione poetica che potesse essere pronunciata da una persona istruita, non essendo “né pedante né volgare”.
Per un anno Eliot insegnò francese e latino alla Highgate School; nel 1917 iniziò la sua breve carriera come impiegato di banca nella Lloyds Bank Ltd di Londra.
Nel frattempo, fu anche un prolifico revisore e saggista sia di critica letteraria che di filosofia tecnica.
Nel 1919 pubblicò Poems, che conteneva il poema “Gerontion”, un meditativo monologo interiore in versi sciolti; niente di simile a questa poesia era apparso in inglese.
Con la pubblicazione nel 1922 del suo poema The Waste Land, Eliot si acquistò una reputazione internazionale.
The Waste Land esprime con grande potenza il disincanto, la disillusione e il disgusto del periodo successivo alla prima guerra mondiale. In una serie di vignette, vagamente legate alla leggenda della ricerca del Graal, ritrae un mondo sterile di paure in preda al panico e arido concupiscenze, e di esseri umani in attesa di qualche segno o promessa di redenzione.
Nel saggio Tradition and the Individual Talent, apparso nel suo primo volume critico, The Sacred Wood (1920), Thomas Eliot afferma che la tradizione, come usata dal poeta, non è una mera ripetizione dell’opera dell’immediato passato (“la novità è meglio della ripetizione”, ha detto); piuttosto, comprende l’intera letteratura europea, da Omero ai giorni nostri.
Il poeta che scrive in inglese può quindi costruire la propria tradizione utilizzando materiali di qualsiasi epoca passata, in qualsiasi lingua. Questo punto di vista è “programmatico” nel senso che dispone il lettore ad accettare la novità rivoluzionaria delle citazioni poliglotte di Eliot e delle serie parodie degli stili di altri poeti in The Waste Land.
Altri due saggi, pubblicati per la prima volta nel 1921, completano quasi il canone critico di Eliot.
Essi sono: The Metaphysical Poets e Andrew Marvell, pubblicati poi nel 1932 in Selected Essays, 1917-1932.
In questi saggi opera una nuova prospettiva storica sulla gerarchia della poesia inglese, mettendo al primo posto Donne e altri poeti metafisici del XVII secolo e snobbando i poeti del XVIII e XIX secolo.
La seconda famosa frase di Eliot “dissociazione della sensibilità”, che appare nei saggi, viene inventata per spiegare il cambiamento avvenuto nella poesia inglese dopo Donne e Andrew Marvell.
Questo cambiamento per Eliot consiste in una perdita dell’unione di pensiero e sentimento.
La prima fase, o programmatica, della critica di Eliot si concluse con The Use of Poetry and the Use of Criticism (1933), che raccoglievano le sue lezioni tenute ad Harvard.
Poco prima i suoi interessi si erano allargati alla teologia e alla sociologia; il risultato furono tre brevi libri, o lunghi saggi: Thoughts After Lambeth (1931), The Idea of a Christian Society (1939), e Notes Towards the Definition of Culture (1948).
Questi libri-saggi, insieme al suo Dante (1929), capolavoro indubbio, allargarono la base della letteratura alla teologia e alla filosofia.
Se un’opera è poesia deve essere deciso secondo criteri letterari; se si tratta di grande poesia deve essere deciso con criteri superiori a quelli letterari.
La critica e la poesia di Eliot sono così intrecciate che è difficile discuterle separatamente.
Il grande saggio su Dante apparve due anni dopo l’ingresso ufficiale di Eliot nella Chiesa d’Inghilterra (1927); in quell’anno divenne anche suddito dell’Impero britannico eleggendo Londra a sua città adottiva.
Il primo lungo poema dopo la sua conversione fu il Ash Wednesday (1930), una meditazione religiosa in uno
stile completamente diverso da quello delle poesie precedenti.
Mercoledì delle ceneri esprime i dolori e la tensione coinvolti nell’accettazione del credo religioso e della
disciplina religiosa. Questa e le successive poesie furono scritte in uno stile più rilassato, musicale e meditativo rispetto alle sue opere precedenti, in cui l’elemento drammatico era stato più forte di quello lirico.
Dal Premio Nobel agli ultimi anni londinesi
Il capolavoro di Eliot è Four Quartets, pubblicato come libro nel 1943, sebbene ogni “quartetto” sia un poema completo. “Burnt Norton” fu il primo dei quartetti; apparve nella Raccolta di poesie del 1936.
È una meditazione sottile sulla natura del tempo e sul suo rapporto con l’eternità.
Sul modello di questo, Eliot scrisse altre tre poesie – East Coker (1940), The Dry Salvages (1941) e Little Gidding (1942) – in cui esplorava attraverso immagini di grande bellezza e potere ammaliante il proprio passato, il passato della razza umana e il significato della storia umana.
Ognuna delle poesie costituiva un mondo totalmente auto-sussistente, ma quando videro la pubblicazione costituirono un’unica opera, in cui i temi e le immagini ricorrevano e venivano sviluppati in maniera musicale e portati a una risoluzione finale. Quest’opera fece una profonda impressione sul pubblico dei lettori, e anche coloro che non erano in grado di accettare l’ispirazione cristiana delle poesie, riconobbero l’integrità intellettuale con cui Thomas Eliot perseguì il suo alto tema, l’originalità della forma che aveva ideato e la maestria tecnica del suo verso. Questo lavoro portò all’assegnazione ad Eliot, nel 1948, del Premio Nobel per la Letteratura.
Le opere teatrali di Eliot, che iniziano con Sweeney Agonistes (pubblicato nel 1926; rappresentato per la prima volta nel 1934) e finiscono con The Elder Statesman (1958-59), sono, ad eccezione di Murder in the Cathedral (pubblicato ed eseguito nel 1935), inferiori alla poesia lirica e meditativa.
La convinzione di Eliot che anche il dramma secolare attrae persone che cercano inconsciamente una religione lo portò a mettere il dramma al di sopra di tutte le altre forme di poesia.
Tutte le sue commedie sono in versi sciolti di sua invenzione, in cui l’effetto metrico non è percepito separatamente dal senso; riportò così sulla scena popolare il “dramma poetico”.
Dopo la seconda guerra mondiale, Eliot tornò a scrivere commedie come The Cocktail Party nel 1949, The Confidential Clerk nel 1953 e The Elder Statesman nel 1958.
In queste commedie, le cui trame si riallacciano al dramma greco, Eliot accettò le attuali convenzioni teatrali nella loro forma più convenzionale, sottomettendo il suo stile a un livello colloquiale ed evitando i passaggi lirici che davano bellezza alle sue prime opere.
Solo The Cocktail Party, che si basa sull’Alcesti di Euripide, ottenne un buon successo popolare.
Nonostante i loro evidenti difetti teatrali e l’incapacità di coinvolgere le simpatie del pubblico per i personaggi, queste commedie riescono a gestire questioni morali e religiose di una certa complessità, intrattenendo il pubblico
con trame farsesche e qualche scaltra satira sociale.
La carriera di Eliot come editore fu secondaria ai suoi interessi principali, ma la sua rivista trimestrale, The Criterion (1922-1939), fu la rivista critica internazionale più illustre del periodo.
Fu direttore e redattore della casa editrice di Faber & Faber Ltd, che aveva sede nel quartiere intellettuale di Bloomsbury, non molto distante dal British Museum.
Eliot tenne rigorosamente in secondo piano la sua vita privata. Nel 1915 sposò Vivien Haigh-Wood, la quale morì nel 1947 in seguito ad una terribile malattia mentale che aveva costretto Eliot nel 1933 a separarsi da lei.
Nel gennaio 1957 sposò Valerie Fletcher, con la quale visse felicemente fino alla morte, avvenuta a Londra il 4 gennaio 1965. La Fletcher, che divenne la sua esecutrice letteraria, fu responsabile della pubblicazione di una serie di edizioni postume dell’opera e delle lettere di Eliot, compreso l’adattamento di Andrew Lloyd del Libro dei gatti pratici (1939) di Old Possum nel musical Cats (1981).
La terra desolata (The Waste Land)
Il poemetto in cinque parti The Waste Land – tradotto in italiano La terra desolata – fu composto a Londra fra il 1921 e il 1922 circa, e fu pubblicato per la prima volta nella rivista The Criterion nell’ottobre 1922 circa, e subito dopo in The Dial nel novembre dello stesso anno.
La prima edizione in volume, con lo stesso titolo ma con l’aggiunta di tutte le note, apparve nel 1922 presso Boni & Liveright di New York. Il poemetto è dedicato a Ezra Pound (“il miglior fabbro”), che consigliò al poeta di ridurre
drasticamente il testo, modificare alcune parti e dare unità all’insieme.
Le cinque parti portano i seguenti titoli:
I – The Burial of the Dead (La sepoltura dei morti);
II – A Game of Chess (Una partita a scacchi);
III – The Fire Sermon (Il sermone del fuoco);
IV – Death by Water (La morte per acqua);
V – What the Thunder Said (Ciò che disse il tuono).
La terra desolata, con i più tardi Quattro quartetti, resta l’opera più nota ed apprezzata di Eliot, e in certo modo una creazione allo stato “globale”, e dal significato globale: vi si fondono, con la caratteristica tecnica delle allusioni e delle interpolazioni, gli elementi di molte poesie d’ogni secolo e latitudine.
L’azione come il sogno; la disperazione e i primi accenni a una fede che sarà definitivamente trovata, attraverso
Ash Wednesday, nei Quattro quartetti; la storia del presente come la storia del passato in un affollarsi di tecniche e di significati che non trova riscontro in nessuna delle opere precedenti di Eliot e forse, se si eccettua l’Ulisse di James Joyce, in nessuna opera del Novecento.
Il filo conduttore di questo poemetto è fornito dal mito celtico della ricerca del Graal così come fu espresso da Jessie L. Weston nel volume From Ritual to Romance, al quale lo stesso Eliot rimanda in una nota.
La terra desolata rivela senza possibilità di dubbio il suo significato principale fin dall’inizio, con l’accenno alla
“crudeltà” del mese di aprile, associato in genere alla rinascita della terra e quindi dell’amore, e riconduce direttamente ai miti della vegetazione con il suggerimento di un possibile risveglio delle “radici sopite”.
Il paesaggio di questa terra è quello, simbolico, su cui si muove l’uomo contemporaneo, reso infecondo come il Re
Pescatore della leggenda, ed è affollato da immagini o concetti, epifanie visive o sonore, che ripetono, dalla prima alla quinta sezione, la dicotomia aridità-fecondità sulla quale tutto il poema insiste.
Tali il canto del marinaio da primo atto del Tristano e Isotta, il rifiuto da parte dell’amante della ragazza dei giacinti, il gioco dei tarocchi usato da Madame Sosostris non più per previsioni di importanza nazionale (come era all’origine) ma semplicemente per tentar di prevenire fatui “drammi” femminili, e infine la folla di Londra la cui condizione è indicata dai versi danteschi «sì lunga tratta – Di gente, ch’i non avrei mai creduto – Che morte tanta n’avesse disfatta».
Nella seconda parte i personaggi del poema si individualizzano maggiormente e presentano una situazione simile in due diversi ambienti sociali. L’apertura opulenta, da “boudoir” d’alto bordo, la doviziosa profusione degli oggetti, fa pensare ancora alla Belladonna del gioco dei tarocchi, qui però nominato come narcotico, mentre al centro della scena (nella quale si uniscono i riferimento a Cleopatra attraverso Shakespeare, al Paradiso perduto di Milton e alla metamorfosi di Filomela) si muove una figura di donna dal cui monologo si può dedurre uno stato di frustrazione e di nevrosi sessuale. Non è l’amore pieno di Cleopatra, e nemmeno lo stupro violento di Filomela, ma il terrore, l’ossessione, la solitudine.
Poi la scena cambia, diviene un pub londinese, e il dialogo fra le due donne, con il verso “Cosa ti sei sposata a fare se non vuoi bambini?”, non ha bisogno di commenti ulteriori.
Anche in “Il sermone del fuoco” il tema della morte, dell’amore e della rinascita, è presentato proponendo un’immagine di fertilità potenziale e abbattendola subito dopo con un’immagine conseguente e opposta; ma alla base di questo “sermone”, che è anche la parte più ricca di giochi allusivi, si possono notare accenni ad esperienze
mistiche: Buddha e Sant’Agostino vi sono congiunte.
Il fiume sulle rive del quale si svolge l’azione è il Tamigi, ed è nello stesso tempo il fiume della leggenda del Re
Pescatore, il Lemano della presente cattività degli abitanti della terra desolata.
E ancora una fusione di periodi storici e allusioni simbolico-letterarie: le ninfe del Prothalamion di Spencer, il tema del naufragio dalla Tempesta di Shakespeare, l’omosessualità del mercante Mr. Eugenides, il canto delle Figlie del Reno, ma soprattutto, nell’episodio centrale di una seduzione senza amore, la figura ambigua di Tiresia.
Solo alla fine appare il fuoco, fuoco della lussuria e della rigenerazione, cui si oppone più chiaramente il significato della “Morte per acqua”.
La quinta parte si chiude, infine, con le parole di una Upanishad: «Datta, Dayadhvam, Damyata. – Shantih shantih shantih», che significano “Date. Compatite. Frenatevi” e “Pace sensibile”.
All’inizio il tuono echeggia sulla terra senza portare pioggia, la natura è in attesa: ma Cristo è morto, l’effige del dio non è ancora giunta a Byblos (come si legge nei miti riportati da Frazer in Il ramo d’oro) per annunciare la rinascita. E anche gli uomini sono morti, ma non in un altro regno: “Noi che eravamo vivi ora stiamo morendo”, ed è la morte nella vita. I riferimenti contenuti in “Ciò che disse il tuono” proseguono, ormai però in ben diverso ordine: vanno da Dante al Vangelo di san Luca, ricordano il viaggio a Emmaus, indicano la Cappella Perigliosa, coinvolgendo nel crollo del ponte di Londra le torri di Gerusalemme e Alessandria.
Un crollo necessario, perché su tali rovine lo stesso Eliot ricostruirà, prima con il Mercoledì delle ceneri e poi con i Quattro quartetti, la propria fede.
Alla fine, nel canto del gallo, il cielo si aprirà a uno scroscio di pioggia, e le parole del tuono indicheranno
la direzione: fuggire il mondo senza rifiutare il mondo, mettere in ordine le proprie terre, e ancora l’incontro del tempo e del senza tempo in una dimensione globale e dinamica.
Questa “storia” senza limiti di lingua, di nazionalità o di secolo, che appare quasi allo stato ancora incerto di prova, e trova la sua unità proprio dal particolare uso eliotiano delle citazioni e suggestioni (essendo tale tecnica per cui Eliot è in gran parte, probabilmente, debitore alle istigazioni di Pound, lo specchio di una civiltà e di una tradizione), può anche apparire, a una prima lettura, oscura e ostica.
Ma al di fuori di ogni ricerca filologica La terra desolata pone e svolge, in una poesia in cui lirismo e intellettualismo si compongono in unità perfetta, un tema il cui significato definitivo, già altamente cristiano, non può sfuggire.
La coscienza critica e la ricchezza teorica di Thomas Eliot costituiscono il miglior ausilio alla comprensione della sua poesia, e danno una risposta convincente a coloro che hanno lamentato nei Quartetti, come anche ne La terra desolata, la presenza di passi discorsivi e prosastici.
Un’opera del respiro di Eliot, varia e ricca nelle articolazioni, non potrebbe sostenersi dal principio alla fine al punto più alto dell’intensità lirica.
Gaetano Algozino Leonforte, 22/07/2021
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