John Milton “the great closing down sale of English literature” Tra dannazione e salvezza: la parabola letteraria di un genio inquieto
I vivaci fermenti del Seicento inglese, con la sua invasiva passione per le profonde discussioni culturali e i dibattiti politici, sono ampiamente espressi nella vita e nell’opera di John Milton.
Definito ironicamente da un suo contemporaneo come la “grande e conclusiva svendita della letteratura inglese” per aver toccato e quasi esaurito tutti i temi possibili e immaginabili dell’arte poetica, Milton nacque a Londra in Bread Street, non molto lontano dalla Cattedrale di San Paolo, il 9 dicembre 1608.
Il padre di Milton fu uno scrivano, e contemporaneamente fungeva anche da consulente legale, lavoro questo molto richiesto all’epoca. Era questo un impiego molto remunerativo nell’Inghilterra giacobiana, ove un’ampia parte della popolazione, e non soltanto quella povera, non sapeva leggere e scrivere. Per accrescere il patrimonio familiare il padre di Milton prestava denaro con interesse usurario, e nel suo tempo libero si dedicava con estro e competenza alla musica. Sua moglie fu una donna pia e timorata di Dio; nel complesso si può dire che quella di Milton fu una delle tante famiglie della media borghesia londinese, puritana e anti-conformista.
Il padre incoraggiò John fin dalla fanciullezza a dedicarsi agli studi letterari, e perciò venne iscritto alla Scuola di San Paolo, all’epoca la più importante e prestigiosa di Londra.
Appena ebbe compiuto sedici anni, Milton si recò al Christ’s College di Cambridge. Il giovane e promettente Milton aveva una intelligenza alquanto vivace e uno spirito indipendente, qualità queste che gli causarono molti problemi all’interno dell’ambiente universitario in quanto egli si mostrava restio all’osservanza di una disciplina ferrea e inflessibile. Pur tuttavia, non appena ebbe conseguita la laurea all’età di veJohn Milton.ntiquattro anni, Milton riferì a suo padre circa la sua ferma determinazione di dedicarsi totalmente alla poesia. Egli fu sempre convinto della sua singolare missione poetica, convinzione che avrebbe ispirato e guidato il poema della sua maturità letteraria, il Paradise Lost (Paradiso perduto).
Milton stava pensando di comporre un classico poema di eroi ed eroine alla maniera omerica, ad eccezione del fatto che il tema sarebbe stato religioso e il linguaggio una perfetta via di mezzo tra classici antichi e Bibbia. Suo padre lo aiutò molto in questo difficile compito, permettendogli di potersi dedicare agli studi prolungati e alla composizione del poema, sollevandolo da tutte le preoccupazioni temporali. I cinque anni trascorsi in patria costituirono la preparazione spirituale a questo importante e impegnativo progetto letterario.
Tuttavia gli mancava ancora qualcosa: un’esperienza di viaggio all’estero, soprattutto in Italia che, all’epoca, era considerata alla stregua di una casa per scrittori e poeti, e per Milton essa costituiva
un mito vivente. È probabile che si sia trattato di un viaggio alquanto interessante, considerato il fatto che Milton ebbe una ricca corrispondenza epistolare che gli aprì le porte ai più esclusivi circoli intellettuali dell’epoca. A Parigi si incontrò con Ugo Grotius, il grande giurista protestante, prima di recarsi a Firenze e Napoli. Quando intraprese questo viaggio all’estero John Milton non era più un novizio dell’arte poetica; egli aveva già composto, all’età di ventun anni, alcuni deliziosi capolavori poetici, come L’Ode nel mattino del Natale, e due brevi poemi con titoli italiani, L’Allegro e Il Penseroso, scritti ad Horton durante i suoi cinque anni di studi solitari prima di intraprendere il gran tour nel continente europeo.
Nello stesso periodo scrisse inoltre Comus (1633-34) e Lycidas (1637), una splendida elegia sulla morte di un suo amico.
Il viaggio in Italia, almeno parzialmente, fu una vera delusione. Milton vi arrivò nel 1639.
Firenze non gli donò certamente quell’appagamento intellettuale che egli aveva vagamente immaginato e sperato, anche se gli si offrì la rara occasione di incontrare Galileo Galilei, come scrisse
nell’Areopagitica qualche anno dopo. Sebbene il mediocre e provinciale ambiente intellettuale fiorentino non avesse minimamente capito le esigenze e le problematiche connesse alla ricerca poetica di Milton, pur tuttavia egli si sentì più felice e appagato a Napoli ove incontrò Gian Battista Manso, una persona di poca importanza nel panorama culturale italiano se non fosse stato il protettore di alcuni poeti come Gian Battista Marino e Torquato Tasso. La frequentazione col Manso poté offrire a Milton quel sospirato cibo intellettuale di cui lui era alla ricerca, e allo stesso tempo lo introdusse alla lettura delle opere di Marino e Tasso.
Frattanto la situazione politica in Inghilterra stava rapidamente cambiando. Notizie circa la radicalizzazione del conflitto tra Corona e Parlamento raggiunsero il poeta, sicché egli decise di far
ritorno in patria. Una volta rientrato in Inghilterra tuttavia Milton rimase più uno spettatore che un attivista nell’agitato clima politico della seconda metà del XVII secolo. Incominciò l’attività
dell’insegnamento e si sposò; una sfortunata esperienza con la sua giovane moglie, sopravvenuta a causa delle differenze politiche e sociali tra le due famiglie, costrinse Mary ad abbandonarlo e a tornare a casa dei suoi familiari. Pur tuttavia tornarono a vivere di nuovo insieme nel 1645, quando le speranze di una vittoria del Partito monarchico furono definitivamente superate. Probabilmente, la famiglia di Mary stava cercando di proteggersi attraverso la riconciliazione con un uomo come Milton, le cui idee erano ben note a tutti. Mary morì nel 1652 e Milton si risposò due volte; nel frattempo il poeta dovette rinunciare all’insegnamento nel 1647.
Durante questo periodo si intensificò l’attività politica di Milton, così egli pubblicò alcune opere in prosa come Dottrina e disciplina del divorzio, Della libertà di espressione, Areopagitica, e Discorso sulla libertà di stampa, nel 1644. Si schierò apertamene contro il partito Presbiteriano, che propugnava la conformità religiosa dei legami parentali. Nel 1649 la sua attività di compilatore di opuscoli politici attirò su di lui le attenzioni della parte repubblicana, sicché gli fu offerto un prestigioso incarico nel governo rivoluzionario guidato da Oliver Cromwell.
Milton accettò la posizione di Latin Secretary o Segretario per gli affari esteri, sebbene la sua vista cominciasse a venir meno quale risultato di una malattia che qualche anno più tardi, nel 1652, l’avrebbe reso totalmente cieco. Milton iniziò il suo nuovo lavoro, il quale consisteva principalmente nel difendere l’immagine dell’Inghilterra puritana agli occhi del mondo, con una energia e una forza argomentativa tale che dette alla luce numerosi pamphlet politici come Eikonoklastes (Il distruttore di immagini, 1649), scritto in inglese in risposta a Eikon Basilike (L’immagine del Re), un pamphlet propagandistico che beatificava l’immagine di Carlo I decapitato e presentava la sua esecuzione come un martirio. Milton scrisse inoltre una penetrante e convincente difesa teoretica della Comunione dei Santi, l’ideale utopico del Commonwealth di Cromwell (The Ready and Easy Way to Establish a Free Commonwealth) e l’opuscolo Pro Populo Anglicano Defensio scritto in latino per contrastare la Defensio Regia di Salmasio.
Per quanto concerne le ambizioni del giovane poeta Milton di diventare l’Omero inglese, pare che esse furono del tutto abbandonate in questo periodo di attivismo politico, o, per così dire, sostituite da una missione più urgente, quella di difendere la Repubblica, la comunità teocratica, e la città ideale, temi che riempirono la sua capacità immaginativa. Allo stesso tempo la stretta osservanza del Puritanesimo dovette esercitare su di lui un’influenza determinante e vincolante: la poesia, sebbene non avesse perso del tutto il suo potere attrattivo, fu considerata in questo periodo alla stregua di una distrazione biasimevole dal suo lavoro reale, e dai suoi doveri di servitore della nazione. Ciononostante vi sono alcuni sonetti memorabili di questo periodo, tra cui ricordiamo il famoso Sonetto XVII in cui il poeta parla della sua cecità e il Sonetto XVIII scritto nel 1655, nel quale egli espresse la sua impotente indignazione nei confronti di un feroce massacro di Valdesi avvenuto in Piemonte. Qualche altra piccola poesia fu scritta nel periodo dei quasi venti anni prima della pubblicazione di Paradise Lost nel 1667.
Dopo l’esecuzione di Cromwell nel 1658, la conseguente rovina della Repubblica e il ripristino della Monarchia nel maggio 1660, Milton cercò di nascondersi per sfuggire alla feroce giustizia dei monarchici, i quali si adoperarono per far bruciare tutte le sue opere politiche e per farlo arrestare. Egli ritornò alla vita pubblica in seguito all’emanazione di un perdono generale concesso dalla Corona, ma ciononostante fu arrestato e brevemente detenuto in carcere. In seguito all’intervento di alcuni suoi influenti amici, tra cui Lord Marvell, Milton fu rilasciato e nel febbraio 1663 si risposò per la terza e ultima volta con Elizabeth (Betty) Minshull, che all’epoca aveva ventiquattro anni. Con la giovane moglie trascorse gli ultimi dieci anni della sua vita terrena vivendo in manJohn Milton 1iera del tutto appartata e solitaria a Londra, e a causa della Grande Peste del 1665 e del Grande Incendio del 1666 scelse di ritirarsi a Chalfont St Gilses, nel Cottage che prese da lui il nome di Milton’s Cottage. Durante questo periodo egli si dedicò alla correzione delle sue opere e pubblicò anche una serie di saggi, tra cui una grammatica inglese, un trattato di logica e una storia della Britannia. John Milton morì di insufficienza renale l’8 novembre 1674 e fu sepolto nella Chiesa di St. Giles Cripplegate, Fore Street, in Londra.
Milton per secoli è stato considerato alla stregua del Dante Alighieri della letteratura inglese; esaltato da molti contemporanei per la sublime e ispirata altezza del suo lirismo poetico, fu anche
contestato e disprezzato da molti detrattori per il suo intrinseco legame con la Repubblica di Cromwell.
William Hayley nella sua biografia del 1796 scrisse che “Milton si può considerare senza alcun ombra di dubbio il più grande poeta inglese e uno dei massimi e preminenti autori della Letteratura inglese”, mentre Samuel Johnson, il grande ed enciclopedico intellettuale illuminista del XVIII secolo, lodò il Paradiso Perduto come “un grande poema che sia per l’imponente disegno letterario che per la bellezza estetica può essere annoverato tra le migliori produzioni del genere umano”. In mezzo alla copiosa e lussureggiante produzione letteraria di Milton, ironicamente definita da un suo contemporaneo come la “definitiva chiusura di una svendita” in quanto toccò tutti i generi alti di scrittura fino ad allora conosciuti (dalla poesia alla tragedia, dalla farsa al saggio politico e letterario), ci limitiamo a scegliere le quattro maggiori opere poetiche che hanno reso famoso il nostro ardente e appassionato cantore del genere umano.
Esse sono: L’Allegro, Il Penseroso, il Paradiso perduto e i Sonetti.
L’Allegro. Poemetto scritto nel 1631, col titolo in italiano.
Risente l’influsso delle esercitazioni universitarie. Dopo una specie di protasi, nella quale è ripudiata la Malinconia e invocata la discesa dell’Allegrezza sulla terra, è presa a narrare la giornata dell’Allegro. Si inizia all’alba, in campagna, tra il canto dei galli e le fresche voci dei lavoratori, giunge a mezzogiorno al semplice pasto di Coridone e Tirsi, si allieta nel pomeriggio tra il lieto scampanio e le danze di una sagra campagnola, si chiude a sera con la narrazione di leggende popolari, intorno alla birra tradizionale. Ma l’Allegro, evidentemente lo stesso poeta, accompagnati a letto col pensiero i rustici compagni della sua giornata, trova nuovo diletto nella vita movimentata e fastosa della città, a teatro, fra la dotta musa di Ben Johnson e quella dolce e rurale dello Shakespeare delle commedie. Contro il tarlo delle preoccupazioni, invoca il sollievo delle soavi melodie di Lidia. Se Allegrezza saprà dargli tutte queste gioie, egli le sarà fedele.
Milton scrisse L’Allegro quando era ancora studente a Cambridge, e si rintraccia in esso un’aura che fu paragonata a quella nostalgica e fantastica di Lord Marvell. Gli aspetti della campagna sono sentiti non con gusto descrittivo ma come uno stato d’animo; e i romantici si richiamarono sovente a queste espressioni di sentimento, nelle quali dovevano trovare tanta affinità col loro. Dopo tanti abusi di descrizioni e di faticati paragoni, una semplicità spontanea, resa nella chiarezza di un versificare sapientissimo, che ha il pregio di una levità immortale, Milton diede alla poesia inglese quella intonazione nuova alla quale sarebbe dovuta tornare, per raggiungere le sue espressioni più alte.
È stato notato come il giovane poeta alluda appena, e vagamente, all’amore; e come ponga tutto il suo contento in una vita naturale, abbellita dalla poesia. A questo poemetto si contrappone Il Penseroso.
Il Penseroso. Poemetto scritto nel 1631, sotto l’influsso delle esercitazioni accademiche, col titolo, come osservò il Church, in imperfetto italiano, perché ancora il poeta non conosceva la nostra
lingua come la conobbe poi, quando poté scrivere sonetti italiani di perfetta struttura.
Il procedimento è parallelo a quello dell’Allegro. Milton ripudia le gioie vane e invoca la Divina Malinconia. Ma il tempo del Penseroso è la sera, sotto la luna, al canto dell’usignolo, o tra altri suoni, altrettanto cari all’orecchio del viandante meditabondo: il respiro del mare, le campane del coprifuoco, il canto dei grilli. In cima a un’alta torre solitaria, possa il Penseroso passare la notte nello studio della filosofia e delle antiche tragedie, e il mattino sorga nuvoloso, ventoso, lavato dagli scrosci della pioggia.
E quando finalmente appare il sole, il poeta desidera trovarsi a vagare in un’immensa foresta di querce o di pini, dove si addormenterà, vicino a una cascata. Al risveglio si recherà a pregare sotto le volte di una cattedrale dalle grandi finestre istoriate, estatico nella musica grave e solenne dell’organo. Così, spera, in tarda età potrà trovare un pacifico eremo dove vivere in contemplazione della natura, finché l’esperienza giunga quasi a divenire ispirazione profetica. Se la Malinconia saprà dargli tutti questi temi, egli le sarà fedele. Anche qui si ritrova la semplicità sapiente dell’Allegro, col quale Il Penseroso forma un dittico non del tutto contrastante, poiché Milton, in entrambe le poesie, col più calmo dei ritmi giambici e col più brusco e leggero dei trocaici, pur mostrando diverse preferenze a due stati d’animo opposti, celebra la contemplazione che esclude il peccato e solo conosce le gioie intime della natura e dello studio.
Il Paradiso perduto [The Paradise Lost]. Poema biblico-religioso in XII libri, pubblicato nel 1667.
Satana l’angelo ribelle, cacciato dal cielo, precipita nel Caos insieme agli altri angeli ribelli.Milton paradise
Riavutosi dallo stordimento, egli, affiancato a Belzebù, chiama a raccolta e riorganizza le sue schiere. Le arringa Satana rincuorandole e promettendo loro la riconquista del paradiso e rivelando loro una profezia, udita in cielo, sulla creazione di un nuovo mondo, la Terra e di un nuovo essere, l’Uomo.
Perciò, abbandonata l’idea di un nuovo assalto al paradiso, Satana decide di recarvisi personalmente per chiarire il senso di tale profezia. Uscito dopo gravi stenti dall’inferno e attraversato il gran golfo tra l’inferno e il cielo, guidato dal Caos, signore del luogo, Satana giunge in vista del nuovo mondo.
Dio predice al Figlio che il demonio pervertirà l’uomo, e che Egli non lo potrà impedire, essendo l’essere umano dotato di libero arbitrio.
Dopo il peccato, il genere umano dovrà perire, se nessuno si sacrificherà per lui: il Figlio offre se stesso per la salvezza dell’umanità. Satana intanto, assunta la forma di un angelo minore che vada a contemplare il nuovo mondo, passa nel Sole e giunge sulla vetta del monte Nifate; dopo dubbi e timori, riesce alfine a penetrare nell’Eden, tramutandosi in smergo (uccello simile all’anatra nell’aspetto e nella resistenza al volo nel nuoto) e collocandosi sull’Albero della Vita, donde egli contempla le bellezze del divino giardino. Avendo appreso che ad Adamo ed Eva è stato vietato di mangiare il frutto dell’albero della scienza, si accosta nel sonno a Eva per tentarla, ma l’arcangelo Gabriele, avvertito da Uriele, re della sfera del sole, della presenza del demonio, lo sorprende nel suo tentativo e dopo un aspro diverbio, Satana fugge dall’apparizione di un segno nel cielo.
L’arcangelo Raffaele per ordine di Dio rivolge un ulteriore ammonimento ad Adamo ed Eva: egli rivela la presenza del demonio, e i suoi disegni, narrando loro la storia della ribellione, della battaglia fra angeli ribelli e angeli fedeli terminata con la disfatta dei primi fatti precipitare nell’oscuro baratro del Caos.
Narra quindi della creazione del mondo, compiuta dal Figlio di Dio, per volere del Padre, che, cacciati i ribelli, volle creare un nuovo mondo e nuovi esseri. Adamo vorrebbe conoscere quali siano le leggi che presiedono ai fenomeni celesti, ma l’Arcangelo lo esorta ad aiutarsi col divino dono della ragione.
Accoglie, Adamo, questo consiglio e ricorda all’Arcangelo i suoi colloqui con Dio intorno alla solitudine e alla natura socievole dell’uomo, e il suo desiderio di una compagna appagato da Dio con la creazione della donna. Raffaele, dopo altri consigli e nuovi ammaestramenti, rinnovato il monito divino, risale al cielo. Satana intanto, ritornato nell’Eden sotto forma di nebbia, si insinua nel serpente e si accosta a Eva che ha voluto rimaner sola, per dar prova della propria virtù. Ma il serpente, usando di scaltrissime blandizie, riesce a indurre Eva a mangiare il frutto proibito; Eva offre poi il frutto gustato ad Adamo che imita la compagna nel peccato, vinto da tristezza e insieme dalla dolcezza di seguirla.
Dio, informato dagli angeli guardiani dell’Eden, pronunzia contro i due peccatori una severa condanna, mentre la Morte e la Colpa, visto il buon successo di Satana, decidono di salire nel mondo abitato dall’uomo gettando un ponte gigantesco sul Caos. Intanto Eva cerca invano di confortare la disperazione di Adamo. Il Figlio di Dio intercede però presso il Padre, il quale decreta che Adamo ed Eva siano cacciati dal paradiso e siano rivelate loro le cose future. L’arcangelo Michele esegue l’ordine:
dopo avere inutilmente implorato perdono, Adamo deve sottomettersi. Michele predice poi l’incarnazione, la morte e la risurrezione del Figlio di Dio per salvare l’umanità; e Adamo, riconfortato,
si avvia con Eva, essa pure confortata da un sogno, verso l’uscita dal paradiso. Dietro a loro fiammeggia la spada dell’Arcangelo mentre le porte del paradiso si chiudono, e una schiera di cherubini si pone a guardia dell’entrata del divino giardino.
Nel grande poema, dove si rivelano le idee religiose e socio-politiche di Milton puritano non ortodosso e materialista cristiano, una potente poesia circola nella continua grave musica del verso,
nell’orgoglio di cantare cose altissime e primordiali, nella consapevolezza di giustificare agli uomini le vie del Signore. Le influenze italiane sono continue non solo nello stile e nel linguaggio che risente del lessico e della sintassi italiana cinquecentesca, ma soprattutto in una glorificazione dell’uomo che rimane protagonista ideale della grande tragedia metafisica. In questo senso magnificante è forse da vedere, se non l’influenza derivata al Milton dall’Adamo del nostro Andreini, quella, inavvertita e sotterranea, dello spirito eroico della Controriforma cattolica. Se non che, questo eroismo barocco inteso a mettere, spesso con spirito polemico, la creatura umana al centro dell’universo, è portato da Milton, quasi inconsapevolmente, alle sue possibilità estreme, fino a vivere di per sé e a trovare non più in Adamo ma in Satana il suo simbolico rappresentante. Se il dramma del primo uomo è studiato per la prima volta con attenta verità psicologica, quel che in lui è di grandiosamente ribelle viene trasportato e glorificato nella figura dell’angelo caduto. All’esaltazione della capacità umana di colpa e di redenzione, propria del Seicento, si aggiunge così l’esaltazione dell’umana ribellione che prelude al Romanticismo e addirittura al Satanismo dell’ultimo Ottocento. Ma Milton non volle questo e, se pur lo intuì, egli cercò di fissare tutti questi motivi entro la grandiosità cosmica della quale il suo spirito angosciatamente religioso seppe trovare la profonda poesia.
Sonetti [Sonets]. Queste XXIV composizioni furono scritte tra il 1642 e il 1658, pubblicate fra il 1645 e il 1673, e alcune postume nel 1694. Nel gruppo dei cinque sonetti italiani e nell’Usignolo evidente è l’imitazione petrarchesca e l’influsso della poesia rinascimentale italiana; negli altri vi è un cambiamento di tono e una più robusta ispirazione poetica e ideale. Nella spezzatura e struttura lo schema italiano è sempre palese e dimostra che Milton fu attento lettore delle novità introdotte dal Della Casa nel sonetto petrarcheggiante. I sonetti in italiano furono probabilmente composti per qualche italiana che il poeta conobbe in Inghilterra e appartengono al periodo giovanile, come dimostra la inesperienza della lingua italiana; perciò la loro composizione dovrebbe risalire avanti il 1638. Altri sonetti sono indirizzati ad amici; in uno rievoca la seconda moglie defunta che gli è apparsa in sogno “tutta vestita di bianco, pura come il suo pensiero”, in un altro, bellissimo, Milton lamenta la propria cecità. La perdita della vista significa per il poeta la graduale perdita dell’ispirazione, perdita che può essere risolta solo nella fede e nell’accettazione della volontà di Dio. Vigoroso è pure il sonetto nel quale i poeta, che al tempo era segretario diplomatico di Cromwell, protesta per il massacro dei Valdesi compiuto dalle truppe del duca di Savoia Carlo Emanuele II nel 1655. Nel sonetto all’amico e celebre musicista Lawes ricorda in dolci versi l’incontro di Dante e Casella fra le anime del Purgatorio; altri che esprimono teneri e nobili
sentimenti sono rivolti a Fairfax, Cromwell, all’amico Vane, e in uno, indirizzato al Lawrence, il poeta esalta la felicità che gli ispirano la primavera, la bellezza e la “poesia toscana”, cioè italiana. Nel più celebre di tutti, All’Usignolo [To a Nightingale], il poeta si rivolge a un usignolo che canta su di un ramo fiorito in attesa della primavera, e con le sue liquide note rallegra la natura e gli amanti a cui è di buon augurio udire il suo canto invece di quello del cuculo. Il poeta sconsolato, che non si rallegrò mai al ritorno della primavera, spera che l’usignolo a cui sono uniti la poesia e l’amore lo ridesti all’arte e alla vita. I Sonetti occupano un posto importante nell’opera di Milton per la varietà e molteplicità degli elementi che li compongono: essi ebbero anche molto influsso sulla poesia inglese susseguente e furono di particolare ispirazione per il poeta romantico William Wordsworth.
Gaetano Algozino London, South Norwood 27 luglio 2015
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