Christopher Marlowe, La tragica storia del Dottor Faust
Accanto alle gigantesche figure di Thomas More e Francis Bacon, che hanno segnato uno spartiacque essenziale e necessario in quel lungo processo di metamorfosi e transizione della filosofia
scolastica nella filosofia moderna, si ergono le figure di tre possenti visionari della poesia e della letteratura mondiale che hanno dominato tutta l’età elisabettiana, lasciando una ricchissima e multiforme eredità culturale. I loro nomi sono: Christopher Marlowe, William Shakespeare e Ben Johnson. Si sa che la scansione ternaria, molto cara alla letteratura italiana, è stata per secoli adottata anche dai critici inglesi per circoscrivere, entro certi limiti cronologici, quelle figure chiave che riescono a sintetizzare, come in un veloce colpo d’occhio (la sinossi diacronica), i caratteri, i gusti e le tendenze di ogni epoca. Per cui se al medioevo letterario italiano, la cui triade letteraria è formata da Dante-Petrarca-Boccaccio, sta il medioevo letterario inglese, con la triade di Chaucer–Malory–Spencer, il Rinascimento inglese, con la triade Marlowe-Shakespeare-Johnson, sta a quello italiano con la triade Ariosto-Machiavelli-Guicciardini.
Non si tratta di semplici giochi di numerologia letteraria ma di tentativi, seppur poco riusciti, perché forzati da una macchinosa e cerebrale esegesi tecnico-architettonica della letteratura, di condensare concettualmente ambiti, mondi e sensibilità diversi sia dal punto di vista umano che anche spirituale e letterario.
La prima di queste monumentali figure, che rischiarano dall’alto ogni epoca storica come autentiche statue issate sulla cima di altissime colonne, è Christopher Marlowe. Molti particolari della vita e della morte di Marlowe rimangono ancora alquanto ambigui ed oscuri. Si sa con certezza che egli nacque a Canterbury nel 1564, stesso anno di nascita di William Shakespeare, e ivi fu battezzato il 26 febbraio nella Chiesa di San Giorgio Martire.
Figlio di un certo John, calzolaio ben avviato la cui bottega era collocata proprio all’interno della chiesa parrocchiale di San Giorgio, Christopher trascorse gli anni della sua infanzia immerso in un ambiente povero e alquanto provinciale.
All’epoca della sua nascita Canterbury infatti non era che una piccola comunità di circa duemila anime che viveva all’ombra della sua maestosa Cattedrale gotica, da secoli designata quale sede primaziale degli arcivescovi inglesi, rivivendo con crescente devozione e grande senso di profonda religiosità le eroiche gesta del veneratissimo San Tommaso Beckett. Secondo alcuni critici le sue modeste origini potrebbero spiegare e nascondere qualcosa di sorprendente del suo futuro carattere, così fortemente segnato dall’ambizione e da un crescente desiderio di emulazione.
Nel 1587 Marlowe conseguì la laurea in Lettere antiche e poesia a Cambridge e, nello stesso anno, divenne il più grande drammaturgo della sua generazione con l’opera Tamburlain the Great. La sua ambizione e il suo desiderio di fama, uniti al suo talento poetico, gli valsero l’ingresso nei più prestigiosi ed esclusivi circuiti cortigiani del suo tempo. Il suo lavoro come agente segreto al servizio della Corona fu avvolto da un alone di mistero e, con molta probabilità, questa doppia vita fu la causa di quel triste evento che lo vide coinvolto in una taverna di Londra, ove fu ucciso per accoltellamento nel 1593. A tal riguardo sappiamo che, qualche giorno prima della sua tragica morte, il suo nome era stato tirato fuori dal drammaturgo Thomas Kyd (1558-1594), il quale si trovò a dare spiegazioni plausibili circa alcuni documenti compromettenti che erano stati rinvenuti nella stessa camera da lui condivisa con Marlowe.
Pare infatti che Kyd, sotto tortura, accusò Marlowe di ateismo, blasfemia e omosessualità, crimini che, anche se separatamente, erano punibili con la condanna a morte. Marlowe fu interrogato e rilasciato.
Qualche giorno dopo morì in circostanze misteriose, lasciando una triste reputazione di uomo violento dall’ incontrollabile carattere passionale.
Le sue opere sembrano confermare questa reputazione.
I suoi personaggi principali sono tutti dominati da passioni primordiali e incontrollabili che sovente li conducono verso esiti disastrosi.
In tutte le sue opere teatrali e poetiche da Il Grande Tamburlano (1587) alla La tragica storia del Dottor Faust (1592),
da L’Ebreo di Malta (1589) all’ Edoardo II e il massacro di Parigi (1590-92), Marlowe crea e descrive con forza quasi diabolica solo eroi “negativi” che sono dominati da forze oscure che li guidano senza tregua verso gli abissi del male e del nulla. L’exemplum tragico è costruito in maniera specifica sulle passioni di questi personaggi oscuri, i quali sono spesso colpiti da una malattia mortale: per Tamburlano è la sete di conquista, il potere delle armi e della violenza, una sete che non può essere mai soddisfatta dal mondo, ma si dirige direttamente verso i cieli infiniti, per Faust è la conoscenza, mentre per Barabba, l’ebreo di Malta, è il denaro e il potere ottenuti attraverso gli intrighi, dei quali il denaro non è che un astratto segno, per Re Edoardo, invece, che perde ogni cosa, ritrovandosi debole e senza forze, è il desiderio sessuale smodato che sfocia nella sua apparente omosessualità. Nell’universo di Marlowe, tuttavia, il dramma non è sempre creato attraverso un conflitto tra una tentazione e la volontà di resistervi; i suoi personaggi sembrano essere perduti fin dall’inizio e il loro atto di arresa al cospetto delle inarrestabili passioni dominanti, con le quali essi si identificano, è inevitabile e ineludibile perché esso non è che il mostruoso prodotto di due componenti sempre presenti: appetite e lunacy. Appetite designa la funzione appetitiva, il desiderio che dovrebbe essere guidata dalla ragione, servirla, e non essere invece servita da essa.
I personaggi marlowiani non riconoscono altro dio che il proprio desiderio: desiderio di potenza, desiderio di autodistruzione e di dominio, desiderio di morte. Lunacy è in inglese la follia, che proviene proprio dalla Luna, simbolo della mutevolezza delle cose e dell’instabilità della mente. In italiano la parola “lunatico” ha la stessa derivazione, sebbene il significato sia meno forte. “Manicomio”, ancor oggi, in inglese è Lunatic asylum.
Come si è detto, il capolavoro letterario di Marlowe è il Faust, il cui titolo per esteso in inglese è The Tragicall History of Doctor Faustus. Dramma in versi e in prosa senza divisione in atti, il Faust fu composto nel 1592, pubblicato anonimo nel 1601 e, col nome dell’autore, nel 1604. Fonte di Marlowe è la traduzione inglese The Damnable Life and Deserved Death of Doctor John Faustus, pubblicata nel 1587, di un popolare libro tedesco inspirato ad una storia che circolava nella Germania luterana.
Esso raccontava la storia torbida e orrida di un certo Johannes Sebellicus, conosciuto come Dottor Faustus. Marlowe dovette vedere questa traduzione in manoscritto prima che fosse stampata, perché a quella data, nel 1592, il suo dramma era già composto. Il testo che ci è pervenuto in due principali versioni – quella dell’in-quarto del 1604 e l’altra dell’in-quarto del 1616 – è molto corrotto, pieno di interpolazioni ed espunzioni dovute ai vari attori e impresari che vi aggiunsero a loro piacimento spunti comici e buffonate.
La storia rielaborata da Marlowe racconta di Faust, il maggiore teologo della sua città cui nessuno può vantarsi di essere superiore in sottigliezza dialettica.
Rigettando i concetti medievali di scienza, filosofia e teologia, perché privi di connessione con l’esperienza, Faust, non contento della sua acclamata e riconosciuta superiorità, decide di cimentarsi in altra arte, penetrando nel regno del mistero e acquistando poteri magici. Rinnegata la fede avita e chiesto e ottenuto l’aiuto del diavolo Mefistofele, per mezzo del quale stipula col sangue un patto con Lucifero, principe delle tenebre, Faust riceve ventiquattro anni di sicura vita, ha Mefistofele ai suoi servigi, potrà diventare spirito e non sostanza; ma la sua anima, alla sua morte, apparterrà al demonio. Dotato di tale potere, Faust si accinge a compiere cose meravigliose che lo renderanno l’uomo più celebre e potente del mondo. Invano il Good Angel, in eterna lotta con l’Evil Angel, cerca di ricondurlo sulla retta via. Faust va a Roma ove si fa beffe dei cardinali e del Papa e riesce a liberare l’antipapa Bruno; dà quindi spettacolo del suo potere magico all’Imperatore di Germania e allasua corte; fra l’altro fa spuntare un paio di corna sulla testa di un cortigiano che si faceva beffe di lui.
Questi per vendicarsi tende un agguato, da cui Faust esce naturalmente salvo, e dal mago è condannato a dover portare sempre le corna in fronte.
Così Faust passa la vita, beffandosi a suo piacere e nei modi più strani di tutti: nessuno osa rinfacciargli alcunché, perché con un gesto egli lo può far ammutolire; nessuno può ucciderlo, perché per ventiquattro anni Faust è immortale. Ma lo scadere del termine fatale si avvicina, e nella coscienza di Faust incomincia a sorgere il rimorso. Insoddisfatto di tante esperienze Faust desidera anche il bacio dell’immortale bellezza greca: il bacio di Elena. Famoso il verso con cui egli saluta l’apparizione dell’eroina, da lui evocata con le arti magiche: Was this the face that launch’d a thousand ships? (Fu questo il volto che lanciò mille navi?).
Arriva l’ora temuta; Faust vorrebbe poterla fermare, distenderla, ingrandirla, ma invano egli muore implorando e i suoi studenti trovano il suo cadavere lacerato dai demoni. Il concepimento del Faust è grandioso come nel Tamerlano: questi era l’eroe dell’imperialismo politico, Faust è l’eroe dell’eccellenza e dell’eccedenza umana spinte fino ai lori estremi confini di conoscenza e di godimento. Ma il personaggio e il clima tragico si formano faticosamente raggiungendo solo nella scena in cui è esaltata la bellezza di Elena, e in quella della dannazione finale, una potenza poetica.
Gaetano Algozino South Norwood, London 23 maggio 2015
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