La forma del caos. Invito alla lettura di To the Lighthouse di Virginia Woolf
Lo stile unico e l’approccio singolare all’opera narrativa come infinito stream of consciousness (flusso di coscienza) colloca Virginia Woolf (Londra 1882 – Rodmell, Sussex 1941), accanto a James Joyce, nel cuore del novecento letterario europeo.
Nata e cresciuta in circoli letterari, diventò l’anima e la luce principale del gruppo di Bloomsbury, una consorteria di intellettuali compiaciuti e raffinati che si riunivano nelle eleganti case georgiane attorno al British Museum, tra Gower Street e Bedford Square.
In Una stanza tutta per sé (A Room of One’s Own) la Woolf mostra quanto la società renda difficile per le donne scrivere narrativa: la Woolf trova inestimabile questa atmosfera confortevole (denaro e una stanza tutta per sé), soprattutto dato il suo equilibrio mentale persistentemente fragile, che alla fine l’avrebbe portata al suicidio per annegamento.
È stata definita una femminista moderna.
Sebbene poco convinta dalla rivoluzione letteraria dell’Ulisse di Joyce, porta molte delle sue innovazioni in nuove direzioni.
In Mrs Dalloway impiega una scala temporale simile, indicata dal Big Ben in tutto, che suona il suo distintivo tocco in momenti più determinati dai pensieri del personaggio rispetto al passare delle ore.
In Woolf, lo stato d’animo dei personaggi prende il sopravvento su tutte le altre realtà, piuttosto che rispondere ad esse come potrebbero fare le creazioni di Joyce.
Uomo e donna si fondono nell’insolitamente esuberante Orlando, la storia di un ragazzo elisabettiano che presto diventerà una ragazza vittoriana. Il libro offre una rara, preziosa visione d’insieme dell’umorismo di Woolf.
Mentre alcune sue eroine possono dare la priorità alle loro riflessioni in un modo che tradisce uno snobismo confessato dall’autrice, altre invece lottano con i loro pensieri interiori a metà tra il clamore e l’euforia.
I lettori che cercano l’autorivelazione di Woolf nella narrativa potrebbero trovare indizi della sua stessa sessualità.
In Gita al faro (To the Lighthouse), romanzo pubblicato nel 1927, si narrano le vicende della famiglia Ramsay che si trova in villeggiatura in un’isola delle Ebridi.
La famiglia è composta della madre, una donna cinquantenne che dà a quanti la conoscono e l’avvicinano una misteriosa impressione di straordinaria bellezza, il padre, un filosofo con un gran bisogno di comprensione umana, otto figli tra loro diversissimi, e vari ospiti, tra cui Lily Briscoe, una pittrice tormentata dal senso della propria incapacità artistica, e Minta e Paolo che finiscono col fidanzarsi.
La signora Ramsay ha promesso all’ultimo dei suoi figli, James, di sei anni, che il giorno dopo lo condurrà a fare una gita al faro che si vede brillare dall’isola. Ma il padre dichiara che il giorno dopo farà certo cattivo tempo.
Intorno al fanciullo si svolge allora un conflitto, a proposito di questo possibile maltempo, tra il padre, la madre, i fratelli, gli ospiti; non ci sono scene decisive e nette.
Gli animi si oscurano e si illuminano per una parola, per un pensiero, si riempiono e si svuotano, si gonfiano e di inaridiscono. L’autrice illumina, dall’interno, questo ritmo che si viene svolgendo nell’animo dei vari personaggi, le loro alternative di pena, di gioia, di sollievo, di reciproco odio e di reciproca attrazione.
Viva appare tra tutte la figura della signora Ramsay, capace di comprendere, di dare a ognuno quello che cerca, cogliendo per una misteriosa intuizione la loro intimità più profonda.
La serata si chiude con un suo atto di comprensione e d’amore verso il marito, leggermente infelice per il lieve dissapore avuto con lei a proposito della gita.
Poi cala la notte e incomincia a passare il tempo: di giorno in giorno, di stagione in stagione, di anno in anno, con le tempeste invernali, con le fioriture primaverili, con i calori dell’estate, con le malinconie dell’autunno.
La signora Ramsay muore una notte improvvisamente. La sua figlia maggiore, Prue, muore anch’essa poco dopo mettendo alla luce il suo primo bambino; e muore anche suo fratello Andrew, ucciso da una bomba durante la guerra. Per anni e anni più nessuno viene alla casa abbandonata che la decadenza domina come una conchiglia vuota. Quando finalmente sta per essere soffocata dalla vitalità esuberante della natura, la famiglia ritorna a interrompere il processo di dissoluzione che la minaccia. Ma tutto è mutato.
Soltanto il faro è là immobile, al suo solito posto, e si potrà ora finalmente compiere la gita progettata tanti anni prima. Ma per James quello non è più il faro dei suoi sogni e vi accompagna il padre col senso di piegarsi a una tirannide, con un risentimento profondo contro il dolore egoistico di cui egli si è armato come d’un istinto di conservazione.
Lily Briscoe, che è tornata con la famiglia alla vecchia casa, segue con lo sguardo la barca che va verso il faro. Ripensando alla sua vita e a quella degli altri, e soprattutto alla scomparsa della signora Ramsey, comprende che ella aveva un potere straordinario: quello di risolvere tutto in semplicità e di fare delle cose meschine della vita qualcosa di completo, capace di sopravvivere come un’opera d’arte.
Inutile chiedersi quale sia il significato della vita, attendere una rivelazione che probabilmente non verrà mai.
Ci sono i piccoli miracoli quotidiani, illuminazioni, “fiammiferi che si accendono improvvisamente nel buio”.
Sono questi che danno al caos una forma e stabilità all’eterno fluire della vita.
Virginia Woolf raggiunge qui attimi di poesia veramente perfetta.
Gaetano Algozino Leonforte (En) 19/06/2021
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