SAMUEL BUTLER, Erewhon
Samuel Butler (Langar, 4 dicembre 1835– Londra, 18 giugno 1902) è il tipico rappresentante di quell’epoca della letteratura e del pensiero inglese che, segnata da una profonda rivolta contro l’intellettualismo, ne è tuttavia impregnata fino alle radici; il suo stile secco e preciso non è un mezzo di emozione o di bellezza, ma un magnifico strumento di persuasione e di ironica analisi.
Ne troviamo conferma nel suo capolavoro, Erewhon, romanzo pubblicato nel 1872.
Protagonista è un certo Higgs, tipo comune d’inglese della classe media che, recatosi per far fortuna come allevatore di bestiame in una lontana colonia, è tratto dalla curiosità a esplorare quel che si trovi dietro un’altissima catena di monti che nessuno ha mai osato varcare.
Dopo molte difficoltà e pericoli, giunge a una spianata su cui si erge un circolo di statue gigantesche, dall’espressione terribilmente malvagia e con la testa foggiata in modo che il vento ne trae una musica lamentosa e raccapricciante.
Higgs continua ad avanzare e incontra i primi abitanti di questo paese sconosciuto – Erewhon, anagramma di Nowhere (in nessun luogo) –, uomini bellissimi e cortesi che lo conducono alla città vicina e l’affidano alla custodia del carceriere.
Tra la figlia di questi, Yram (Mary), e il giovane prigioniero, nasce ben presto un tenero idillio, troncato quando il re ordina che lo straniero sia trasportato alla capitale, dove viene accolto nella casa di un certo signor Nosbinor (Robinson).
Poco per volta, Higgs impara la lingua del paese e può così rendersi conto dei costumi, delle idee e convinzioni degli erewhoniani.
La prima cosa che lo colpisce è la mancanza di ogni ordigno meccanico; e così apprende che, circa quattrocento anni prima, lo stato del sapere meccanico era altissimo, quando un dotto professore del paese scrisse un libro dimostrando che le macchine erano destinate, sviluppando una propria vitalità, a soppiantare completamente gli uomini; e la teoria convinse gli erewhoniani a tal punto che distrussero tutte le macchine vietando ogni ulteriore invenzione.
Vige in questo paese una speciale scala di valori: chi si ammala prima di essere settantenne o è colpito da qualche sventura, vien disapprovato e condannato, mentre i difetti di carattere morale sono curati come se fossero malattie. La morte non fa paura agli erewhoniani, mentre la nascita di un bambino è considerata come un avvenimento doloroso; credendo nella preesistenza e convinti che i “non nati” vengano al mondo di loro propria volontà, hanno inventato le “formule di nascita”, documento con cui il neonato libera i genitori da ogni responsabilità di quanto gli potrà accadere.
I giovani sono educati nelle scuole della “non ragione”, che insegnano la “scienza ipotetica” e cioè come comportarsi in circostanze strane e impossibili in cui probabilmente non verranno a trovarsi mai.
Hanno certe “banche musicali”, la cui moneta non ha il minimo valore commerciale; ma tutti quelli che vogliono essere considerati rispettabili stimano utile possedere tali monete, pur usandone altre per necessità pratiche. Venerano apertamente dei che sono personificazioni di qualità umane, ma in realtà la loro intima e profonda devozione è per la dea Ydgrun (Grundy, simbolo della più gretta convenzione vittoriana).
Dopo qualche tempo di soggiorno nella capitale, Higgs si innamora di Arowhena, figlia del signor Nosnibor; ma poiché questi vuole invece ch’egli sposi la figlia maggiore, Zulora, decide di fuggire e, col pretesto di fare un esperimento, costruisce un pallone, con cui si leva in aria, portando con sé Arowhena.
Varcata la catena dei monti, il pallone si affloscia e scende sul mare; e quando già i due si credono perduti, sono raccolti da una nave che li riporta in Inghilterra.
Più che un romanzo, Erewhon è una serie di scene e dissertazioni ironiche, uno di quei libri come i Viaggi di Gulliver di Swift, in cui una civiltà immaginaria è usata come mezzo per criticare quella del proprio paese. Troviamo in quest’opera una condanna acerba del compromesso vittoriano, quella stessa che in Così muore la carne raggiungerà un tragico pathos.
Gaetano Algozino, Leonforte, Sicilia 17/12/2020
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