Letteratura inglese

La visione della croce

La visione della Croce poema della letteratura inglese attribuito a Cynewulf

Il carattere “metafisico” della letteratura inglese, che abbiamo avuto modo di evidenziare nella
postilla prefatoria, costituisce il segreto filo d’oro che lega tutte le opere in prosa o in versi prodotte dal
“genio” anglosassone nel suo progressivo svolgimento storico. Abbandonate le ancestrali narrazioni delle
gesta eroiche di Beowulf, rivolgiamo ora lo sguardo ad un altro poemetto, che ci riporta ancora in un
contesto “metafisico” o irreale, dal momento che si tratta di una visione, di un sogno.
The Dream of the Rood, il sogno –visione della Croce, è un poemetto anglosassone in 156 versi (165
secondo l’Hamer), contenuto nel noto “Codex Vercellensis” (sec. XI) della biblioteca capitolare di
Vercelli. E’ unanimemente attribuito dai filologi ad un certo Cynewulf, poiché presenta numerose affinità
con l’Elena in cui questo poeta dichiara di essersi convertito per la contemplazione dell’Albero della gloria,
e anche alla apparizione del poemetto Cristo, e perché ha frequenti somiglianze con le opere di questo
autore.
Hear while I tell about the best of dreams
Which came to me the middle of one night
While humankind were sleeping in their beds.
It was as though I saw a wondrous tree“.

Questi sono i versi del solenne incipit del poemetto nella traduzione in inglese corrente di Richard
Hamer (1970). Il poeta narra il più eletto dei sogni, apparsogli nel cuore della notte mentre tutto il genere
umano giace assopito nel sonno. Da questo ultimo particolare possiamo dedurre che non si tratta di un
mero sogno fatto durante il sonno, ma di una vera e propria visione in fase vigile, o per essere più esatti
una visio in somniis. Si tratta di un genere letterario inaugurato da quel Cicerone (apocrifo?) autore del VI
libro del De Re publica noto sotto il nome di Somnium Scipionis, e che tanta fortuna ebbe nel Medioevo,
dalla Scala Paradisi a Ildegarda di Bingen e dai mistici francescani a Gioacchino da Fiore, fino a culminare
nella Divina Commedia, summa di tutto il sapere medioevale e autentica enciclopedia dello scibile umano
che Dante Alighieri concepì appunto come una splendida, triplice e grandiosa visione e viaggio nei tre
regni dell’oltretomba. Ma torniamo al nostro poema. Cosa appare al visionario Cynewulf nel cuore della
notte?
Towering in the sky suffused with light,
Brightest of beams; and all that beacon was
Covered with gold. The corners of the earth
Gleamed with fair jewels, just as there were five
Upon the crossbeam. Many bands of angels
Fair throughout all eternity, looked on.
No felon’s gallows that, but holy spirits,
Mankind, and all this marvellous creation,
Gazed on the glorious tree of victory.
And I with sins was stained, wounded with guilt“.

Un albero meraviglioso, una grande croce, tutta costellata di gemme fulgide, irradia uno splendore
soprannaturale, adorato dagli Angeli, contemplato con riverenza dagli uomini. Ma anche sotto lo
splendore delle pietre preziose si scorgono le tracce dei chiodi e del sangue (i cinque gioielli splendenti) e
l’anima del poeta è pervasa da un turbamento profondo a causa del suo peccato che lo fa sentire indegno
di una simile visione. Questa tipica sproporzione che si instaura tra il visionario poeta e l’oggetto della
sua visione è un cliché che ritornerà spesso nelle opere letterarie in versi, specie di soggetto sacro o
mitologico, da Dante a Tasso, da Marlow a Eliot. Il poeta non parla subito della Croce di Cristo, ma lascia al lettore la facoltà di scoprire nel corso dello svolgimento interno dei versi proemiali la vera ed intrinseca identità di questo albero meraviglioso.

L’immagine della Croce come albero risale ai primordi della letteratura cristiana, ma la sua codificazione
in un genere letterario preciso, ossia l’inno, è opera di Venanzio Fortunato, poeta latino cristiano del VI
secolo d.C. Nel suo celebre inno Pange lingua gloriosi proelium certaminis, che la liturgia della Chiesa ha
adottato come canto di adorazione della Croce durante il rito del Venerdì Santo, forse per la prima volta
si fa uso di questa immagine che tanta fortuna avrà nella letteratura mistica di tutti i tempi. Venanzio in
uno slancio lirico ricco di parossismi canta:
Crux fidelis inter omnes Arbor una nobilis
Nulla silva talem profert fronde, flore, germine“.

Sarà lo stesso albero ad ispirare ad un francescano outsider del XIV secolo, Ubertino da Casale, la
composizione di uno dei più terribili e sorprendenti capolavori di letteratura mistica di un Medio Evo
ormai al tramonto. Egli, nel suo enciclopedico e prolisso trattato in prosa e in versi intitolato Arbor vitae
Crucifixi Jesu, in un tentativo di interpretazione meta-storica dell’intero svolgimento della storia umana da
Adamo a Gesù Cristo e da questi alla turbolenta Chiesa tardo medioevale, pone al centro della questione
l’albero di Adamo divenuto albero di discordia e divisione a seguito della sua caduta nel peccato originale,
ma reso albero di vittoria e di trionfo con la Risurrezione di Cristo, e albero di immolazione sacrificale
con la sofferenza di Francesco d’Assisi che ricevette le stigmate da Gesù apparsogli in forma di serafino
sulle alture della Verna. Francesco, nella visione apocalittica e millenarista di Ubertino, non può che essere
l’angelo del settimo sigillo di cui parla l’Apocalisse giovannea, il quale ricapitolerà e ricondurrà tutta la
storia passata, presente e futura in seno alla Trinità, vera Chiesa dello Spirito eterno contrapposta alla
falsa Chiesa dello spirito mondano, ossia la Chiesa di Roma.
“I heard it utter sounds, the best
Of woods began to speak these words to me”

Il v. 29 segna il punto di transizione alla seconda parte del poema, in cui è l’Albero soprannaturale
a parlare al poeta, quella Croce che è riconosciuta come il più eletto e nobile degli alberi della foresta.
L’uso di utter e best mantengono alto e grave il tono del discorso poetico, conferendo enfasi e solennità
misterica alla visione. L’Albero dunque comincia a parlare, narrando come era stato abbattuto nella
foresta per essere trasformato in Croce, strumento infame: questa era stata piantata su di un colle e il Re
dell’universo, forte e sicuro, era salito su di essa per redimere il genere umano. Al contatto del Corpo
Divino di Cristo essa avrebbe voluto inchinarsi, ma il suo dovere era di restare salda benché tremasse;
avrebbe potuto nuocere agli uomini crudeli che trafiggevano il Signore dei cieli, ma aveva resistito
soffrendo come il suo divino Eroe. Essa aveva assistito alla morte e alla sepoltura del cadavere del Re
trionfale, poi erano venuti uomini che avevano abbattuto a una a una le croci e le avevano sepolte, finché
essa era stata miracolosamente ritrovata e onorata nei secoli con santo timore, come segno di vittoria.
L’eterna salvezza degli uomini stava ora nell’adorazione di quell’Albero divenuto trofeo di vittoria del Re
immortale.
I prayed then to the cross with joyous heart
And eagerness, where I was all alone,
Companionless; my spirit was inspired
With keenness for departure; and I spent
Much time in longing. Now my hope of life
Is that I may approach the tree of triumph”

Dal v. 134 fino alla fine il poeta, destatosi dal sogno, descrive la sofferenza provata per le sue
lunghe ore di angoscia, ma poi si rasserena nella speranza che l’immagine fulgente della visione possa
trarlo dalla vita dolorosa e transitoria per portarlo nella gioia eterna del Paradiso. In uno slancio mistico senza precedenti, in cui è possibile vedere in filigrana tutte le frasi d’amore per la Croce pronunciate da mistici e Santi nel corso dei secoli, Cynewulf può esclamare: Ora la mia speranza di vita è solo questa, che io possa accostarmi all’albero del trionfo!
Il poemetto, tutto pervaso di ardore divino, è il primo che introduce nella letteratura anglosassone la forma della visione. Il pentimento per le colpe commesse, l’umile adorazione della croce, la speranza dell’eterna salvezza, lo slancio puro e sincero di misticismo (sentimenti che ritornano in varie opere posteriori della letteratura inglese) sono espressi con un misurato e accesso affetto in forma incisiva, e fanno di questa opera una delle più belle poesie religiose dell’Alto Medioevo.
Gaetano Algozino
South Norwood, London
6 th March 2015 – First Friday of March

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