Letteratura inglese

Il Secondo Romanticismo Inglese Lamb, De Quincey, Carlyle

SAGGISTICA E NOVELLISTICA DEL SECONDO ROMANTICISMO:
CHARLES LAMB, THOMAS DE QUINCEY E THOMAS CARLYLE

Il Secondo Romanticismo inglese, che per buona parte della sua estensione cronologica coincide con l’età vittoriana almeno dal 1837, anno dell’elezione al trono della regina Vittoria, e fino alla seconda metà del secolo decimonono, oscilla tra fermenti rivoluzionari di una palingenesi societaria e pensosi, calibrati esiti di meditazione metastorica.
Nel solco profondo di una consolidata tradizione letteraria che ha sempre assegnato al saggio filosofico e al romanzo di formazione una forte componente pedagogica, si muovono la saggistica e la novellistica del secondo periodo romantico caratterizzati da quella componente metafisica, che a detta di Herbert Grierson costituisce una delle cifre precipue e distintive della tradizione inglese.
Nell’atteggiamento visionario e individualistico dei romantici l’irrazionalità o comunque l’abbandono lirico e il recupero di un’area fantastica, che era andata in qualche modo perduta nel periodo neoclassico, restano legati a precise ideologie, e la loro opera si presenta sempre con forti connotazioni problematiche e argomentazioni di tipo filosofico.
Dal Romanticismo a noi, i narratori e i saggisti inglesi più rappresentativi, tra cui la triade LambDe QuinceyCarlyle da noi scelta, sembrano non poter sfuggire a questa specie di regola.
Gli autori in questione continuano a sottolineare con tono e interessi diversi e magari contrastanti il fatto che nella letteratura inglese il pensiero domina sulla descrizione, il ragionamento sull’espressione lirica, l’angoscia dei problemi sulla fittizia e superficiale felicità delle evasioni, e le loro opere, visionarie o ragionanti, si muovono in una dimensione dove idea e sensibilità si incontrano, e magari si scontrano, a formare un complesso, drammatico disegno significante.

 

Charles Lamb, Saggi di Elia

Charles Lamb (1775-1834), cresciuto all’ombra dei severi profili neogotici dell’Inner Temple, l’esclusivo quartiere londinese di avvocati, magistrati e legali, è unanimamente considerato una delle figure più amabili e popolari della letteratura inglese.
Poligrafo, poeta e collezionista d’arte, Lamb fu uno dei personaggi-chiave del romanticismo inglese insieme agli amici Coleridge, Wordsworth, Southey e Hazlitt.
Coadiuvato dalla sorella Mary Lamb (1764-1847), che fu sua assidua compagna di avventure letterarie, pubblicò nel 1807 una acclamatissima ritrascrizione, in forma di racconto per fanciulli, delle opere teatrali di Shakespeare dal titolo Tales from Shakespeare; Mary fu responsabile della parte relativa alle commedie, mentre Charles delle tragedie.

La fama di Charles Lamb è indissolubilmente legata ai suoi Essays of Elia, libro di saggi di vario argomento la cui prima serie apparve nel “London Magazine” tra l’agosto 1820 e il dicembre 1822, e in volume nel 1823; mentre la seconda serie, col titolo Last Essays of Elia vide la luce nel 1833.
Il nome di Elia era quello di un commesso italiano alla South-Sea House in cui Charles e il fratello John erano impiegati, e Lamb disse di aver scelto quello pseudonimo per un riguardo al fratello.
Ma probabilmente il nome fu scelto perché anagramma di a lie, che in inglese significa “una bugia”.
I vari aspetti del genere essay, sviluppatisi da Montaigne in poi, confluiscono tutti nell’opera di Lamb.
Alcuni dei saggi risentono degli svolgimenti settecenteschi degli italiani “capitoli”.
A questo genere di umorismo superficiale appartengono la famosa A Dissertation upon Roast Pig, la dissertazione sul porcellino arrosto, che prende spunto da un passo dello Spione turco del Marana nella versione inglese e si riconnette con le Lodi delle anguille, del singhiozzo di Francesco Berni; A Complaint of the Decay of Beggars in the Metropolis, la lagnanza per la decadenza dei pezzenti nella metropoli; e, per il partito preso di dir paradossi, i Popular Fallacies o Sofismi popolari, che sono la parte più caduca del libro.
Settecenteschi son poi ancora quei saggi che si indugiano in spiritose descrizioni di tipi, riconnettendosi al genere dei “caratteri” e al club dello Spectator: The Two Races of Men, le due razze di uomini, Mrs. Battle’s Opionions on Whist, le opinioni della signora Battle sul whist, Imperfect Symphaties, simpatie imperfette, e Poor Relations, parenti poveri, la cui prima parte fa addirittura pensare a Teofrasto.
Vi sono inoltre saggi che raccolgono impressioni di critica letteraria o teatrale, o che sono dettati da esperienze o reminiscenze culturali: On Some of the Old Actors, Su alcuni antichi attori, On the Artificial Comedy of the Last Century, Sulla commedia superficiale del secolo scorso, Detached Thoughts on Books and Reading, Pensieri sparsi sui libri e la lettura, Sanity of True Genius, Equilibrio del vero genio. Ma al tempo di Lamb le abitudini di vita si erano andate cangiando di pari passo coi nuovi indirizzi spirituali.
La strada, il club, il caffè non erano più le scene consuete delle azioni e delle opinioni, come nel Settecento: l’individuo si ripiegava su se stesso, e, nel suo bisogno di intimità, si volgeva alla casa e alla famiglia. Il campo visuale s’era fatto men vario, più concentrato e più intenso, nel periodo borghese che si suol definire Biedermeier, la classe media, secondo il felice vocabolo tedesco. Sicché anche nei Saggi di Elia, che ancora risentono di consuetudini settecentesche, le circostanze autobiografiche aggiungono un sapore nuovo, anzi, con esse coincidono spesso i momenti espressivi più felici.

Sebbene quelle circostanze affiorino qua e là in tutti i saggi, esse dominano in un gruppo: Christ’s Hospital five-and-thirty Years ago, Blakesmoor in H…, Dream Children, Old China, ove Lamb ci appare nella sua piena originalità e maturità; un gruppo dove trova espressione adeguata quel lirismo che nelle poesie giovanili di Lamb non si era manifestato se non con timidi, incompleti accenni. Nei suoi saggi intimi Elia ci parla di se stesso, della sua vita con la cugina (cioè con la sorella Mary), dei suoi amici di collegio, dei luoghi della fanciullezza, delle sue passeggiate nei giorni di vacanza, degli aspetti della sua amatissima Londra, dei suoi autori preferiti, del teatro di cui era appassionato, e si intrattiene con noi suoi suoi gusti, le sue antipatie, le fantasie che gli passano per la testa, con l’apparente capricciosità di una viva conversazione.
Lo stile di Elia talora segue il fluire soave e continuato dei ricordi, con un largo periodare che sembra ansioso di dire tutto; altre volte il periodo si fa breve, le parole rapide e incalzanti conflagrano nel fuoco d’artificio del frivolo; talora lo stile è solenne e togato, grave di gemme e d’ori di gusto barocco, o nobilmente e soavemente sentenzioso come quello di Thomas Browne; talora succinto e senza pretese, quasi che Elia, spogliatosi del broccato pesante, indossi l’abito nero e dimesso dell’impiegato dell’East India Company.

Stile che ha tutta la capricciosità del carattere dell’autore, ed è solitamente ricco di citazioni e di allusioni, perché Lamb era pure un erudito  di prim’ordine. Con questo celebre libro, che fece scuola specie in Inghilterra con i vari Stevenson e Beerbohm, Lamb si afferma dunque creatore del saggio autobiografico moderno, in cui il saggista può venir definito un lirico in prosa, intento a seguire in tutte le sfumature un ritmo troppo sottile per adagiarsi negli schemi del verso. Evidente è nella genesi dei saggi di Lamb il nesso con l’epistolografia, ché alcuni dei saggi nacquero come lettere agli amici.

Thomas Penson De Quincey, Confessioni di un mangiatore d’oppio

Costantemente in balia tra sogno e realtà, tra malattia e stati allucinatori di coscienza, si svolse l’intera esistenza di Thomas Penson De Quincey (1785-1859), uno dei più originali scrittori del romanticismo inglese e considerato il padre della moderna dipendenza letteraria, ossia quella morbosa e consolatoria attività dello spirito che trova nella scrittura l’unica via di uscita per lenire le piaghe insopportabili di un’esistenza altrimenti votata al nulla, alla nausea e al fallimento.
La sua immensa opera letteraria, pubblicata postuma nel 1889/90, comprende quattordici volumi e spazia dalla politica all’economica, dal saggio storico-letterario a quello psicologico, raggiungendo talvolta picchi di creatività onirica e disperata, ma sempre geniale e attualissima.
Tra le maggiori pubblicazioni ricordiamo: On Murder considered as one of the Fine Arts (1827), che ebbe un’influenza profonda e decisiva nello scrittore americano Edgar Allan Poe (1809-1849), Suspiria De Profundis (1845), il cui tremendo racconto Levana or Our Ladies of Sorrow ispirò il regista italiano Dario Argento nella creazione della sua trilogia dell’orrore Suspiria-Inferno-La Madre delle lacrime.

Ma è con il racconto autobiografico Confessions of an English Opium Eater, scritto nell’autunno del 1821 e pubblicato nel “London Magazine” dell’ottobre e del novembre di quell’anno e in volume nel 1822 (edizione ampliata nel 1856), che De Quincey raggiunse il vertice della sua arte narrativa, che si vaporizza negli oscuri fumi di una visione ottenebrata dall’ineludibile fascino psico-onirico.
La sezione riguardante i sogni fu scritta per prima, a vari intervalli di tempo; la narrazione che lega insieme il tutto venne scritta rapidamente al tempo della pubblicazione nella rivista. Il libro narra i primi anni e i vagabondaggi dell’autore nel Galles, e come egli fosse indotto all’uso dell’oppio dalla pena fisica e da irritazione nervosa, e poi a aumentarne le dosi fino a raggiungere 8000 gocce di laudano al giorno.
Onde i terribili effetti di tal pratica soprattutto in forma di incubi che si protrassero per otto anni: finché, spaventato dalla minaccia di morte imminente, De Quincey decise di vincere l’abitudine. La narrazione termina descrivendo la progressiva riduzione delle dosi giornaliere, riduzione accompagnata da grandi sofferenze, ma finalmente coronata dal successo.

Le qualità poetiche della narrazione e l’avvincente sincerità dell’autore, nonché le qualità patetiche e i risvolti pscicologici dell’argomento, assicurarono enorme successo al racconto.
Più franco, e al tempo stesso più delicatamente riservato del Rousseau delle Confessioni, De Quincey infuse un incanto di sogno nella sua narrazione, che acquista tanta più forza in quanto l’autore non si propone nessun fine pratico. Egli non vuole giustificare il suo vizio, ma solo riferire un’esperienza di vita interessante di per sé, nè d’altra parte interamente remota da quanto può provare il comune degli uomini.
E fa ciò con sufficiente obiettività da non incorrere nel difetto di commiserazione di se stesso o d’illusione circa i propri atti. Una delle parti più toccanti del famoso libro è la narrazione di come il giovane De Quincey viene soccorso da una amante, Ann, nell’inferno di Londra.
D’altronde l’iniziazione allo stupefacente non ha nel De Quincey niente di prezioso, di squisito, di diabolico: nessuna morbosa curiosità di “paradisi artificiali”, ma solo una cura sbagliata di dolori reumatici.
In tal senso giova ricordare che al  principio dell’Ottocento il laudano si usava come oggi si usa l’aspirina: i farmacisti lo davano senza difficoltà, il popolo lo beveva come l’alcol.

Le Confessioni, per il fascino proibito ed esotico che pareva emanare, ebbe un enorme successo presso i romantici. Il Musset ne diede un rifacimento che ispirò al Berlioz la Sinfonia fantastica; Gérard de Nerval se ne ispirò nel Sogno e la vita (1855), Baudelaire nei Paradisi artificiali dando anche una bellissima riduzione delle Confessioni; e il De Quincey finì addirittura per essere considerato, con assai poco fondamento, uno dei “santi padri” del Decadentismo.

 

Thomas Carlyle, Sartor Resartus: Vita e opinioni del signor Teufelsdröckh

La lunga vita di Thomas Carlyle, caratterizzata da un aspro e ironico polemismo nei confronti delle false sicumere della società “vittoriana”, si svolse entro l’arco di quasi tutto il secolo decimonono, del quale fu brillante, appassionato e originalissimo interprete e lettore. Nato il 4 dicembre 1795 a Ecclefechan, nel Dumfries-shire, Carlyle si formò all’università di Edinburgo; divenuto per un breve periodo insegnante di storia e letteratura (1814-18), maturò una forte crisi di fede che lo portò dal cristianesimo presbiteriano ad una concezione deistica.
Figura controversa e poliedrica di saggista, filosofo, matematico, traduttore e cultore della lingua tedesca, scrittore satirico, Thomas Carlyle sposò Jane Baillie Welsk il 17 ottobre 1826, visitò a più riprese Parigi e Londra, che infine, nel 1834, elesse a sua città adottiva e prediletta dimorando al n. 5 di Cheyne Row, nel raffinato quartiere di Chelsea, ove morì il 4 febbraio 1881.
Come storico e polemista, Carlyle raggiunse l’apice della notorietà e della rispettabilità con la pubblicazione, nel 1837, dei tre volumi di The French Revolution.
A History
, che ebbe una influenza decisiva nel racconto A Tale of two cities di Charles Dickens (1859).
Nell’opera, di ampio respiro storico, filosofico e politico, Carlyle sviluppò l’originale concezione della storia come campo di forze in cui agisce l’individualità forte e carismatica di eroi, che, generati dal caos degli eventi rivoluzionari, prenderanno controllo sulle forze competitrici che erompono dall’interno della società.
Pur non trascurando l’importanza di fattori economici e politici, Carlyle assegnò a quelle forze un valore spirituale: le speranze e le aspirazioni di un popolo in rivolta prendono prima la forma fluida ed incandescente di idee, per poi ossificarsi in ideologie, o come dice lui stesso, in ismo.
Nella sua visione meta-storica dell’evento rivoluzionario del 1789, soltanto dinamici eroi, dalla forte connotazione individuale, possono guidare ed orientare gli eventi e dirigere con sapiente oculatezza queste energie spirituali; nel momento in cui le formule ideologiche rimpiazzano l’azione eroica degli umani, la società si disumanizza. Queste idee di Carlyle influenzarono, in seguito, lo sviluppo dei principali movimenti di massa e dittatoriali del secolo XIX: il socialismo e il nazi-fascismo.

Ma la pungente e dissacrante forza della filosofia carlyliana raggiunge il suo apice, o per così dire la sua punta di diamante, con la pubblicazione dell’originale opera Sartor Resartus. Life and Opinions of Herr Teufelsdröckh (1833-34), il cui genere letterario fluttua tra il romanzo fantastico, il trattato filosofico e il pamphlet politico dai toni altamente ironici, a volte corrosivi e pessimistici.
Accanto agli Eroi, il culto degli eroi contiene la concezione filosofica e morale di Carlyle.
In una prima parte è svolta, attribuendola a un immaginario professore tedesco, Diogene Teufelsdröckh, quella che Carlyle chiama filosofia del vestito, fondata sulla concezione che le istituzioni, i pregiudizi, i costumi in genere sono semplici clothes, vestiti dello spirito umano e hanno quindi un solo valore contingente.
Il titolo significa appunto Il sarto rappezzato, ossia il sarto che si volge su di sé per vestire o rivestire se stesso.
Nella seconda parte è narrata la biografia del protagonista.

Diogene Teufelsdröckh è un trovatello che trascorre la sua adolescenza in un piccolo villaggio della Germania, Entepfuhl, nella casa del giardiniere Andreas Frutteral, che lo aveva raccolto e allevato con affettuose cure.
Il ragazzo, riflessivo e taciturno, sentendo parlare del mondo lontano dove milioni di uomini vivono e soffrono in paesi e città, comprende che la sua esistenza si è svolta in un ambito quanto mai ristretto e sente la tormentosa bramosia di vivere intensamente, di conoscere e comprendere l’origine e la causa prima delle cose.
Morto il padrino, ogni affetto gli viene a mancare ed egli spera di trovare la felicità nei lunghi viaggi e negli studi.
Si trascina dunque in lunghe peregrinazioni, conosce uomini e paesi, ammira le bellezze della natura, visita luoghi antichi, rievoca il passato, ma non è felice.
La lettura e lo studio dei grandi pensatori non fanno che gettare il dubbio e lo scetticismo nel suo animo, l’amore e l’amicizia gli procurano numerose delusioni e alla fine il suo spirito si dibatte tra il sorriso amaro di un arido scetticismo e un dolorante sentimentalismo.
La vera felicità era forse nella fede ingenua dell’infanzia, nella vita ristretta e tranquilla del suo villaggio, nella sottomissione assoluta al suo padrino.

Con uno sforzo della volontà, ritempratosi alla rievocazione della sua infanzia, Diogene salva il suo spirito da tragico naufragio che lo minaccia. Le sofferenze subite costituiscono per lui una ricca esperienza; egli comprende che attraverso le forme caduche della vita e del mondo, lo spirito deve pervenire alla concezione di un principio assoluto, divino, che è in tutti gli esseri.
Se la riflessione e la speculazione possono distruggere l’ingenua fede infantile, a una fede più salda, perché basata sulla ragione, lo spirito deve saper tornare. Teufelsdröckh, dopo tante peregrinazioni, tanto pensare, dopo aver sofferto le pene di amore, ritrova un equilibrio nell’amore verso tutti gli esseri, nei quali riconosce se stesso, in una febbrile e incessante attività spesa a favore dei suoi simili, in una fede che è attivo operare e non inerte contemplazione.

Il Sartor Resartus riflette tutta la tormentosa evoluzione spirituale di Carlyle: Diogene Teufelsdröckh è lui stesso, il villaggio di Entepfuhl non è che la sua infanzia, il grande amore del protagonista per Blumina non è che l’amor di Caryle per Margherita Gordon. Il traviamento di Teufelsdröckh è la tragedia intima dell’uomo moderno in cui ogni fede vacilla, assetato di godimenti, pronto a poetizzare il suo dolore e a disperdersi in un egoismo edonista, che tocca il culto di se stessi, Self-Worship.
Da questo Everlasting No, l’eterno No, Carlyle trovò la via d’uscita e di salvezza attraverso i pensatori tedeschi, Goethe e Schiller. Wilhelm Meister, il giovane eroe goethiano, che dopo le sue lunghe peregrinazioni trova la gioia intima nell’umile e quotidiano lavoro compiuto per gli altri uomini senza cercare compensi né onori, vibra il grande colpo al Manfred di Lord Byron, l’eroe del pensiero che vive solo del suo io nella solitudine di un Olimpo fittizio.
All’Eterno No si contrappone l’Eterno Sì che vede tutto ciò che esiste come veste di Dio.

La parte filosofica del Sartor Resartus deriva da Fichte e Goethe; la forma esteriore e la narrazione derivano da Jean Paul, per cui Carlyle sentì profonda ammirazione. Molti spunti dell’opera ricordano la Vita di Quintus Fixlein e Tituano. Soprattutto piacque a Carlyle il fermo atteggiamento di Jean Paul, che, nella sua rozza ma sana e schietta visione della vita, inveì ferocemente contro il classicismo filo-ellenico ed estetizzante che infierì in Europa e specialmente in Francia. Il Sartor Resartus fu in Inghilterra una grande voce isolata in mezzo a un generale disorientamento delle coscienze, mentre le varie dottrine filosofiche minavano le basi della fede tradizionale, distruggendo senza tentare di costruire, e il materialismo economico portava a un individualismo sfrenato, spesso ammantato da un morboso atteggiamento artistico e poetico.

Gaetano Algozino                                        London, Kidbrooke Village 28 giugno 2020

 

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