Tra scienza e spiritismo. Profilo biografico di Arthur Conan Doyle
Nello stesso anno in cui Charles Darwin pubblicò La nascita della specie, il 1859, nacque ad Edimburgo Arthur Conan Doyle.
Fu allevato in una famiglia cattolica ma quando intraprese gli studi di medicina all’Università di Edimburgo, nel 1876, si dichiarò agnostico.
Nel 1885 conseguì il dottorato con una tesi su una particolare malattia causata dalla sifilide, nota come tabes dorsalis, caratterizzata dalla degenerazione dei neuroni sensoriali risultante in svariate, sgradevoli malfunzioni del corpo. La carriera professionale di Conan Doyle iniziò come medico di bordo nei viaggi lungo le coste dell’Africa occidentale. Agli inizi del 1882, prima del completamento del suo dottorato, avviò un ambulatorio chirurgico a Plymouth, nel sud dell’Inghilterra, con un certo George Budd, un vecchio amico conosciuto all’Università di Edimburgo. Ma sfortunatamente la loro relazione professionale fu alquanto breve e Conan Doyle dovette trasferirsi a Southsea, nell’estate dello stesso anno. Ivi cercò di impiantare una clinica, ma gli affari non andarono come previsto, sicché si dedicò con più assiduità e professionalità alla scrittura, che era stata una delle sue gioie più intime fin dall’infanzia.
Nel 1887 riuscì a pubblicare il suo primo romanzo con protagonista il detective Sherlock Homes, e diede così una sterzata alla sua carriera orientandola in tutt’altra direzione.
Tra il 1887 e il 1927 Conan Doyle pubblicò nove libri di Sherlock Homes: quattro romanzi e cinque raccolte di storie brevi. Scrisse altri libri di diverso soggetto, ma Sherlock Homes era ormai diventato una vera e propria icona letteraria nell’Inghilterra tardo vittoriana ed edoardiana che tutti gli altri suoi lavori finirono nel dimenticatoio, oscurati e negletti. Noncurante del successo popolare, Conan Doyle prese la decisione di far morire Sherlock Homes nel 1894. Infatti, nella brevissima storia intitolata The Final Problem, Holmes muore per mano del suo acerrimo nemico, il professore Moriarty.
Seguì una sì lunga e accorata protesta pubblica per la morte del detective che Conan Doyle fu costretto a riportarlo in vita nel suo terzo romanzo The Hound of Baskerville. Spiegò che Holmes dopo tutto non era caduto per mano di Moriarty, ma lo aveva fatto credere cosicché il suo nemico si era cullato in un falso senso di sicurezza.
Conan Doyle soffrì profondamente a seguito di una tragedia che si abbatté sulla sua famiglia agli inizi del 1900; infatti un numero considerevole di suoi familiari morì, inclusi sua moglie Louise, nel 1906, e suo figlio Kingsley nel 1918. Inoltre vi fu l’orrore della prima guerra mondiale contro cui contendere, che colpì il morale di un’intera nazione, sebbene ne fosse uscita vincitrice.
Nonostante il suo agnosticismo dichiarato, Conan Doyle maturò un interesse morboso per lo spiritualismo, diventando particolarmente ossessionato dalle credenze nei fenomeni soprannaturali, comprese le cosiddette Cottingley Fairies, una serie di cinque fotografie realizzate dalle giovanissime cugine Elsie Wright e Frances Griffiths, che si rivelarono essere delle ben architettate mistificazioni. Queste misteriose fotografie che ritraggono le due cugine in angeliche pose con fatine danzanti, che le stesse dichiararono di avere visto presso le incantate campagne di Cottingley Beck, vicino Bradford, catturarono letteralmente l’attenzione di Conan Doyle che le usò per illustrare un articolo sulle fate che gli era stato commissionato dal The Strand Magazine per l’edizione natalizia del 1920.
Queste e altre strane ossessioni causarono una netta rottura con uno dei suoi più intimi amici, il mago e intrattenitore Harry Houdini. Conan Doyle non poteva accettare che le “escapades” di Houdini fossero in realtà semplici trucchetti ben elaborati, sicché Houdini finì col sentirsi profondamente irritato dall’idea fissa, ossessionante, e per di più infondata, di Doyle che egli possedesse poteri magici. Scrisse perfino su queste sue strane asserzioni il volume The Edge of the Unknown, pubblicato nel 1930.
Questo fu il suo ultimo libro, perché Conan Doyle, nel luglio dello stesso anno, morì di un attacco cardiaco.
Conan Doyle: L’influenza della scienza
Una delle opere più note di Conan Doyle, a parte il ciclo di Sherlock Homes che lo rese celebre in tutto il mondo, è The Lost World, un romanzo di fantascienza pubblicato nel 1912.
Il suo personaggio principale, il professor Challenger, che sarebbe apparso successivamente in altre storie, organizza una spedizione nel bacino amazzonico, in Sud America.
Egli e il suo entourage incontrano un’incredibile varietà di animali preistorici lungo la via e sono testimoni oculari di numerose guerre tra una tribù di indigeni e uomini-scimmia.
Nel contesto storico dell’epoca in questione, quest’opera può essere letta come un eccezionale documento di ricerca scientifica, tenendo conto del fatto che la moda dei romanzi fantascientifici dilagava in Europa fin dalla pubblicazione del Viaggio al centro della terra di Jules Verne (1864), e fu poi portata a vertici di straordinario meccanicismo filosofico-letterario con The Time Machine dell’inglese H. G. Wells (1895).
Tutte queste opere hanno come protagonisti degli scienziati che partono per visitare luoghi ignoti nel tempo e nello spazio e assistono, allo stesso tempo, al ritorno in vita di creature estintesi miliardi di anni fa.
Evidentemente questo tema si rivelò alquanto popolare in un’epoca in cui lo studio dei fossili e dei processi dell’evoluzione delle specie umane e animali stavano assumendo il carattere di scienza rigorosa.
Conan Doyle usò chiaramente la scienza per sostenere la sua idea di letteratura, sebbene è più opportuno dire che permise alla pseudoscienza di fare la sua apparizione ufficiale verso la fine della sua vita.
La sua carriera attraversò tutti i cambiamenti del XX secolo, quando andava prendendo corpo l’idea che erano gli sforzi e le scoperte della scienza a dettare l’ethos del mondo moderno.
Sherlock Homes fu dunque la più nobile espressione del riconoscimento che l’applicazione delle scienze empiriche e l’acutezza d’intelletto erano gli elementi vincenti che i membri dell’Impero britannico vedevano come l’intima ragione del loro successo globale.
Holmes fu, in molti aspetti, la personificazione della superiorità dell’Ego britannico in quel preciso momento storico. Lo stesso Conan Doyle divenne parte integrante dell’establishment politico in ragione del suo aperto e appassionato sostegno morale al coinvolgimento britannico nella guerra del Boer, nel Sud Africa (1899-1902).
Nel 1902 fu nominato cavaliere più per i servigi resi alla nazione che non per i suoi contributi alla letteratura.
In un pamphlet intitolato War in South Africa: Its Causes and Conduct, Conan Doyle giustificò le azioni militari degli inglesi contro le tribù Boer e fu debitamente onorato per la sua condotta morale.
Di certo, il suo successo come romanziere fece la sua parte, sebbene le sue opere sulla guerra in Africa non sarebbero mai state lette se egli non fosse già diventato una celebrità.
Sherlock Homes. Profilo psicologico del personaggio
Arthur Conan Doyle inventò il personaggio di Sherlock Homes e scrisse le sue storie, inizialmente, come puro passatempo. Nel 1882 gli affari come medico generico sulla costa sud dell’Inghilterra non erano proprio dei migliori, sicché, avendo molto tempo a disposizione, il giovane Conan Doyle intraprese a scrivere storie come mezzo per tenere occupata la sua mente. Cinque anni dopo, nel 1887, arrivò la prima apparizione pubblica di Sherlock Homes, insieme al suo fedele collaboratore Dr. Watson, nel romanzo intitolato A Study in Scarlet.
Tre anni dopo, nel 1890, fu la volta del The Sign of Four.
Questi due libri consacrarono Conan Doyle come un autore di successo e rivelarono il suo approccio tutto nuovo all’arte del racconto. Egli aveva escogitato con successo il romanzo giallo del mistero (detective mystery novel), che in quel periodo era considerato un genere del tutto nuovo.
I casi criminali della vita reale non erano generalmente così misteriosi, ma Conan Doyle riconobbe l’esigenza di avvolgere di mistero i suoi casi per generare un prodotto letterario di successo che incollasse il lettore, e quasi lo costringesse a voltare pagina subito per scoprire lo sviluppo delle indagini di Sherlock Homes.
È degno di nota tuttavia che nel 1888 i casi dei Whitehall Murders e di Jack The Ripper (Jack Lo Squartatore) erano all’ordine del giorno nei giornali inglesi, rendendo così la soluzione di delitti misteriosi davvero molto attuale.
Come dato di fatto, molti fans di Conan Doyle gli scrissero suggerendogli di usare l’astuzia e il metodo induttivo di Holmes per risolvere i surriferiti casi criminali, ma lo scrittore fu abbastanza saggio da riconoscere che non poteva esserci alcun punto di passaggio o di collegamento tra la fiction e la realtà, sicché Holmes non fu mai chiamato in causa a tal riguardo.
Dopo tutto, se i casi reali fossero stati finalmente risolti la reputazione di Holmes sarebbe stata compromessa per sempre.
The Adventures of Sherlock Homes furono pubblicate nel 1892.
Sei delle dodici storie sono descritte come “avventure” nel loro titolo, giacché furono pubblicate singolarmente sul The Strand Magazine; l’espediente fornì un certo senso di continuità con gli altri sei capitoli, qualcosa di simile a ciò che oggi potrebbe essere chiamato product branding.
L’investigatore privato Sherlock Homes fu, in sostanza, un ibrido tra il gentiluomo vittoriano cultore di scienze e il detective di polizia. L’età vittoriana segnò un importante svolta storica ove la scienza raggiunse lo statuto di disciplina autonoma basata sulle sperimentazioni empiriche. Prima di allora, l’oggetto della scienza era stato piuttosto ambiguo e nebuloso nella sua definizione. Fisici, chimici e biologi avevano dimostrato che il mondo opera sempre secondo rigide leggi e regole dettati dalla scienza. E fu proprio questo nuovo fenomeno di assoluta certezza scientifica che permise a Sherlock Homes di risolvere i casi criminali con sicurezza quasi dogmatica, in un periodo in cui le indagini della polizia criminale erano incluse prevalentemente nel settore delle incertezze e dei dubbi opinabili la cui soluzione dipendevano più dalla fortuna che non dell’applicazione metodica del metodo induttivo e del giudizio scientifico. Sebbene fosse un personaggio fittizio, Sherlock Homes rivoluzionò il metodo stesso delle indagini criminali con la sua maniacale insistenza sulle modalità di identificazione e raccolta delle prove sulla scena del crimine, teorizzando i moventi, lo svolgersi degli eventi e individuando potenziali sospetti.
Si addiceva inoltre al carattere di Holmes l’essere un investigatore privato dacché egli possedeva chiaramente un’innata qualità intellettuale di genio che, molto spesso, era accompagnata da idiosincrasie ed eccentricità che mal si sposavano con il profilo di un poliziotto soggetto alla ferrea osservanza di leggi e regolamenti di un convenzionale rapporto di lavoro dipendente.
Per rendere Holmes un personaggio credibile con un eccezionale livello di acume e una straordinaria intelligenza fuori del normale, Conan Doyle gli conferì altresì un certo livello di contorsione mentale e psicologica, facendo di lui un solitario con tratti ossessivi e fanatici.
Il risultato fu quello di un personaggio a tutto tondo in cui lettore si poteva rispecchiare con facilità, perché aveva debolezze e vulnerabilità molto comuni a tutti gli uomini. Infatti, Conan Doyle ammise apertamente che i tratti distintivi del carattere di Holmes erano stati forgiati su quelli di qualcuno che lui stesso conosceva molto bene.
Quel qualcuno era un professore universitario scozzese, Joseph Bell, che esercitava anche la professione di medico forense. Conan Doyle era rimasto profondamente impressionato dal modo in cui Bell aveva implementato l’analisi scientifica e l’osservazione accurata durante le autopsie post-mortem nel dedurne la causa della morte.
Sebbene oggi le autopsie per ragioni giudiziarie siano all’ordine del giorno, l’approccio esclusivamente scientifico alle indagini post-mortem costituiva qualcosa di assolutamente nuovo, se non addirittura sconcertante, nel 1877 quando Conan Doyle e Bell si incontrarono per la prima volta.
Conan Doyle arguì che la vera forza del metodo di Bell risiedeva nell’osservazione, nell’inferenza e nella deduzione, cosicché perveniva gradualmente alla causa più probabile del decesso attraverso un processo metodico di eliminazione. Si trattava, dunque, di puro esercizio razionale, di logica e di applicazione delle conoscenze acquisite. Tratti che avrebbero fatto di Holmes un detective perfetto e di successo.
Il termine rasoio di Ockham – coniato per identificare il rivoluzionario metodo di indagine del francescano inglese Guglielmo di Ockham (1285-1347) – è stato a volte applicato al metodo investigativo di Holmes; esso spiega le cose con il ridurre, il radere appunto, le opzioni cosicché le ipotesi e le conclusioni possono essere fatte con un ragionevole livello di accuratezza e sicurezza.
La mente di Holmes era molto simile a quella di un computer per la sua incredibile capacità di investigazione, per la complessità delle deduzioni, per l’abilità non comune di classificare, processare e “salvare” i dati nella memoria. Qualcosa di estremamente prodigioso e geniale per una mente ordinaria.
Ad affiancare Sherlock Holmes in tutte le sue indagini è il Dr. John Watson, che agisce nelle vesti di un vice alquanto entusiasta. Egli è inoltre l’io narrante di molte storie, sicché il lettore sperimenta gli eventi dalla prospettiva di una seconda persona. Dr. Watson è molto intelligente di per sé, ma ammira Holmes per la sua abilità di pensare le cose ad un livello superiore. E’ cosa degna di nota che Holmes non ha titoli anteposti al suo nome; egli è un libero pensatore e rigetta la nozione stessa di establishment, così come ogni credenziale o riconoscimento ufficiale. Similarmente, Holmes ha un’opinione piuttosto condiscendente degli impiegati di Scotland Yard, il quartier generale della polizia a Londra: infatti per l’ispettore Lestrade Holmes nutre sentimenti contrastanti.
Da una parte lo considera il miglior investigatore, ma dall’altra pare che lo tolleri appena: Lestrade è molto efficiente quando si tratta di arrestare assassini e fuorilegge, o è alquanto abile nel far valere la sua forza e la sua autorevolezza di poliziotto. Ma, agli occhi di Holmes, manca di qualcosa. Egli non è, proprio in virtù del ruolo che riveste, sopra la legge. Solo Holmes lo è, ma nella maniera giusta che gli consente di spingersi oltre i protocolli per scoprire la verità.
Altra caratteristica degna di nota della personalità di Sherlock Homes è il suo debole per i travestimenti.
Conan Doyle intuì che sarebbe stato interessante, oltre che utile, per Holmes essere un maestro dei camuffamenti che gli avrebbero permesso l’accesso a certe situazioni per le quali avrebbe avuto necessità di un collaboratore per portare a termine lavori molto delicati.
In effetti, egli diventa spesso un altro personaggio sotto mentite spoglie, cosa che gli permette di racimolare informazioni vitali di nascosto.
Un’ideale passeggiata nella Londra di Sherlock Homes
Ambientati nei nebbiosi e misteriosi fondali di Londra e della campagna inglese, le 56 complessive storie brevi più i 4 romanzi del ciclo di Sherlock Homes, possono essere letti anche come un’ininterrotta celebrazione del fascino murky (tenebroso) di Londra, di cui Conan Doyle ricostruisce una sorta di geografia interiore che getta luci e ombre contrastanti sulla metropoli britannica, che all’epoca dello scrittore era la capitale del primo impero globale della storia moderna.
Baricentro di questa geografia doyleiana è la casa di Holmes situata al civico 221B di Baker Street, fra Regent Park e Hyde Park, in una delle zone più verdi e ricche di fascino della città.
Ivi si può visitare ancor oggi una casa-museo fittizia che ricrea gli ambienti vissuti dal maniaco detective.
Londra ai tempi di Conan Doyle, la città della regina Vittoria, era molto diversa da quella che i turisti possono ammirare oggi. La stessa Baker Street risultava molto più corta ed Oxford Street si distingueva per i suoi palazzi signorili e non ancora per le sue scintillanti vetrine e il continuo passeggio delle persone.
L’ideale geografia della Londra di Sherlock Homes conduce spesso il lettore in un altro punto nevralgico della città, Piccadilly, da sempre uno dei luoghi più frequentati ed eleganti ove Watson e Holmes si concedono l’uno una lauta colazione in stile inglese e l’altro un classico Earl Grey, il tè per eccellenza.
La giornata londinese di Sherlock Homes è meno caotica di quanto si potrebbe immaginare e tutto può essere ricondotto alla sua tecnica investigativa: si concentra su pochi elementi, analizzandoli in modo quasi maniacale, per poi prenderne in considerazione di altri nel caso i primi non avessero apportato nuovi indizi alle indagini.
Per questo si sofferma sempre su un luogo per volta. E per questo si dirige verso Battersea Park, un’altra zona che all’epoca di Conan Doyle era reputata a rischio e che non era ancora stata valorizzata dal massiccio intervento di riqualificazione voluto dalla regina Vittoria. Holmes ci rimane per di più di quattro ore, a interrogare, osservare e seguire i suoi frequentatori.
La Londra di fine ‘800 era molto diversa anche socialmente da quella di oggi: i poveri erano molti e i benestanti pochi e ovunque si trovavano agenti delle forze dell’ordine pronti ad agire. Un poliziotto in borghese consiglia Holmes di dirigersi nella zona della City, cuore economico della città, dove negli ultimi tempi Scotland Yard sta tenendo sotto controllo degli individui sospetti. Pur non fidandosi delle informazioni di altri, Sherlock Holmes decide di andarci. Si incammina con Watson, che non ne vuole sapere di fare un simile pezzo di strada a piedi, come il suo compagno non concepisce il fatto di prendere i mezzi pubblici di trasporto. Ma alla fine pensa che Londra è così bella da meritare una passeggiata anche con il freddo invernale.
Costeggiano il Tamigi fino all’Abbazia di Westminster. Le sue campane suonano mezzogiorno.
Sherlock Homes non parla, e, cosa per Watson ancora più grave, non accenna nemmeno al pranzo.
Imboccato lo Strand arrivano in prossimità della City percorrendo l’ampia Fleet Street, la via dei giornalisti e degli editori. L’investigatore, con il suo infallibile fiuto, si rende subito conto del fatto che non troveranno nessun indizio valido propone al compagno di dirigersi nei quartieri a sud di Londra, oltre il Tamigi.
Attraversano il Blackfriars Bridge (ponte dei frati neri). Da lontano si vede la maestosa Torre di Londra, avvolta dalla leggera nebbia che sale dal fiume.
Holmes continua a tacere, visibilmente insoddisfatto, immerso nei suoi pensieri e con il cappello calato sugli occhi. I quartieri oltre il fiume hanno mantenuto la loro originaria fisionomia, più vicina a quella del villaggio che della città, intervallati ogni tanto dalla grazia e l’aspetto agreste dei fields, i graziosi giardinetti di cinquecentesca memoria.
I due decidono di non rimanerci più di tanto e tornano sui loro passi.
Si avvicinano le cinque, Watson fa presente al compagno che gradirebbe bere una tazza calda di tè. Holmes acconsente di buon grado e i due si dirigono nella zona di Bloomsbury, passando di fianco all’imponente British Museum. Prendono posto in un’elegante quanto tipica tea room, accendendosi uno il sigaro e l’altro la pipa e gustando, insieme con l’aromatico tè, anche i delicati biscottini al burro.
Finito di bere il tè Sherlock Homes e Watson decidono di tornare verso casa, consci del fatto che dal punto di vista delle loro indagini la giornata è stata fallimentare. Camminano per Charing Cross Road, una delle vie più antiche della città e nota per le sue librerie antiquarie. La sera si avvicina e vengono accesi i primi lampioni.
La strada è animata da numerose carrozze e da persone che si recano a vedere uno spettacolo teatrale o un concerto nel vibrante West End.
Passano davanti a Piccadilly Circus, che non ha nulla a che vedere con quella che oggi si presenta ai visitatori. Completamente spoglia dei luminosi pannelli pubblicitari, offre a chi la guarda elegantissimi edifici in stile vittoriano. Giunti finalmente a Baker Street, Watson comincia a fare ad alta voce un resoconto della giornata.
Ma Holmes tace: non gli piace lasciare un’indagine in sospeso, senza una risoluzione tempestiva, è una questione di professionalità e forse anche di narcisismo.
Watson intuisce che l’investigatore trascorrerà diverse ore rimuginando i pochi indizi raccolti e che lo sveglierà verso mezzanotte, per ripetere gli stessi itinerari della giornata, a cominciare da Battersea Park, dove hanno incontrato quell’agente di Scotland Yard che adesso gli sembra sospetto, avvolti nella nebbia e nel mistero, proprio quando i londinesi tornano a casa dopo una serata al Covent Garden o alla Royal Albert Hall.
Watson conosce bene Sherlock Homes: vuole risolvere la situazione o almeno darle una svolta decisiva.
Si addormenta con un’unica consolazione: passerà ancora una notte nella Londra illuminata, con le luci che si riflettono nelle acque del Tamigi.
Gaetano Algozino Leonforte, 27 gennaio 2021
I commenti sono chiusi